TERRAZZO

Giorgia Meloni, Chiara Ferragni e il pandoro della discordia

Michele Masneri

Dietro lo scontro, vite parallele. L’origine borghese, il successo raggiunto grazie all’ingegno, e poi anche due mamme scrittrici. Un matriarcato che funziona bene

Insomma questo Natale per fortuna è arrivato il pandoro-gate per farci dimenticare l’Ucraina e il medioriente e farci sopravvivere con discussioni altrettanto polarizzate (con o contro “Chiara”) ma meno foriere di rotture definitive coi parenti. La questione della beneficenza forse tarocca allegata al dolce natalizio Balocco, e della gestione efficiente, molto efficiente, della crisi, da parte di Ferragni, mostra ancora una volta come l’influencer sappia gestire i rovesci di fortuna della sua effimera professione. I più maligni ricordano altre vicende in cui la faccia contrita, persino la luce sbagliata, abbiano accompagnato i mea culpa ferragneschi; lo spreco al party nel supermercato, quando una festa si trasformò in lanci di frutta e verdura, che fece insorgere il popolo. I selfie siculi mentre intorno fiorivano gli incendi; l’aperitivo sul ghiacciaio raggiunto in elicottero (vituperata per il mezzo inquinante).

Però da tutti questi cul de sac è sempre uscita indenne e lo ha fatto anche stavolta. Con le lacrime e la contrizione e la donazione di un milione, cifra che qui viene usata nel suo simbolismo, sembra la vecchia banconota del signor Bonaventura. Un omino futurista, dei fumetti dei nostri nonni: redingote rossa, pantaloni larghissimi e bianchi, che si muoveva a scatti, come un burattino, e parlava in rima. Passeggiava accompagnato dal suo bassotto, e incassava sempre “un milione” tondo tondo in una enorme banconota, e allora esultava in rime baciate: “Non farò più lo sgobbone / né il minchione né il cialtrone, / non più servo ma padrone / e padrone d’un milione!”. Qui il milione dovrebbe servire a far finire la polemica, e certo la cifra è notevole come è notevole l’ambientazione della foto, la fotografia, come se da un film patinato si fosse passati al più severo dei Dogme. Ma soprattutto colpisce la tempestività, che neanche i teorici della comunicazione di crisi, neanche un Comin.

La velocità è tutto, e in questo è molto simile a Meloni. Certo il paragonarle sembrerà empio alla presidente del Consiglio, che dal palco della kermesse (questa invece molto patinata) di Atreju ha vituperato l’influencer come esempio di come non si deve celebrare l’orgoglio italiano. Eppure le due condividono molte cose. A noi che siamo abituati a tutto pare normale, ma lasciare il proprio compagno con un post su Instagram non è un fatto che all’estero siano abituati a vedere: ecco dunque il povero Giambruno mollato così, dopo i celebri fuorionda di “Striscia”, proprio sul social di Zuckerberg. Senza possibilità di appello, peggio di una sentenza dell’Antitrust (ma Giambruno è stato però rivisto ad Atreju). Ma con “Giorgia” oltre alla gestione efficiente delle crisi Ferragni condivide molte cose: l’esser giovani donne realizzate nella vita grazie al loro ingegno, il provenire da contesti medio-borghesi anche se Meloni spinge per abbassarsi la nascita in contesti proletari con lo spin sulla Garbatella, quartiere dove in realtà ha abitato per poco tempo in favore degli affluenti Camilluccia ed Eur.

Ferragni invece come si sa è figlia di un dentista di Cremona e di una mamma che voleva fare la scrittrice, sogno che poi ha realizzato in età avanzata, e qui altra somiglianza: la mamma di Meloni l’ha fatto sotto falso nome per una serie di thriller erotici-sentimentali, col nom de plume di “Josie Bell” (titoli: Vergine amante, Prigioniera di te) mentre Marina Di Guardo ha al suo attivo: “Dress code rosso sangue”, “La memoria dei corpi”). Entrambe hanno famiglie variegate che col tempo vengono impiegate nella “factory”: da una parte Valentina Ferragni, che è un po’ il succedaneo di Chiara, meno follower, meno celebre ma fa il suo. Dall’altra parte invece Arianna Meloni, pare, vero cervello di casa.

In entrambe le famiglie gli uomini sono puramente decorativi, quando va bene (quando va male combinano guai): da una parte Fedez e il padre dentista, dall’altra il padre assente e già trafficante, e il Giambruno che c’è e non c’è. Curioso a questo punto che “Giorgia” si scagli, tra i tanti bersagli, proprio contro Ferragni, decisione sicuramente consigliata da bestie e bestioline digital, e però sicuramente c’è dell’altro: ombre, proiezioni, rispecchiamenti. Di sicuro nel paese che lotta contro il patriarcato in crisi, entrambe sono eccezioni molto interessanti di un matriarcato fiorente e neanche tanto raro.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).