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Terrazzo

Tutti gli orizzonti di Paolo Pellegrin 

Giacomo Giossi

A Venezia Le Stanze della Fotografia ospitano la mostra dedicata a uno degli ultimi fotoreporter contemporanei: una rassegna dei principali eventi del nostro tempo visti attraverso la lente dell'artista

Proprio davanti alla Marina dell’Isola di San Giorgio a Venezia dove vengono ormeggiati piccoli yacht dall’ondeggiamento moderato ed elegante ha aperto i suoi spazi da poco più di un anno Le Stanze della Fotografia, frutto della collaborazione tra la casa editrice Marsilio e la Fondazione Cini che sull’isola già ospita Le Stanze del Vetro, sede di sorprendenti esposizioni sull’arte vetraria. Dopo l’abbandono del palazzo dei Tre Oci alla Giudecca – ora sede del Berggruen Institute (per la direzione di Lorenzo Marsili) – Le Stanze della Fotografia ha ripreso la sua attività espositiva con una mostra dedicata a Ugo Mulas a cui fa seguito ora la stupefacente “L’orizzonte degli eventi” di Paolo Pellegrin. Oltre trecento scatti tra cui alcuni reportage inediti. Un percorso che tocca la realtà del mondo degli ultimi quarant’anni, dalle zone di guerra mediorientali fino alla tragedia dello tsunami in Giappone. Il percorso di Pellegrin è rappresentativo di una visione della fotografia che fa di lui uno degli ultimi veri fotoreporter contemporanei. Capace di indagare la realtà mostrandone le contraddizioni e le facce multiple, il fotografo romano dà forma ad un lavoro di scavo continuo che si avvale di un occhio coraggioso quanto raffinato.

Accolte nelle ampie sale, come stive di una nave, le fotografie di Pellegrin risplendono della loro innata forza emotiva, rivelando la presenza dell’irreale nella realtà, spesso tragica, da lui ritratta. Gli scatti non sono pervasi da una necessità estetizzante, da un disegno definito, ma offrono un libero stupore rispetto a una realtà che proprio nel suo gesto più tragico rivela un’insensatezza difficile da comprendere. L’irreale irrompe nelle fotografie con la durezza di un conflitto in atto o con l’esplodere di una tragica crisi climatica. I segni sui corpi come sui luoghi, divengono tracce e residui di una follia di passaggio, di un incomprensibile quanto insano movimento che ha lasciato territori abrasi e corpi feriti o peggio uccisi. Pellegrin azzera ogni confine e ogni distanza, i suoi ritratti accolgono persone comuni all’uscita della metropolitana di Tokyo come prigionieri dell’esercito islamico o ancora senza tetto in America e soldati americani in Afghanistan. La violenza attraversa ogni immagine di Pellegrin che senza pretendere di controllarla o peggio ancora di mascherarla, la mette in mostra quale parte evidente e sostanziale di un’umanità e di un mondo. Pellegrin non si occupa e non si preoccupa di rivelare la densità della violenza, ma una volta preso atto della sua irriducibile presenza, utilizza la violenza come strumento implicito di rappresentazione capace di accomunare luoghi e persone, nazioni e popoli. Le stesse fotografie dedicata alle figlie Emma e Lucia rivelano contemporaneamente gioia come angoscia. Ritratte durante la pandemia, Pellegrin coglie nelle figlie i momenti di risa come quelli di stress e malinconia, un movimento che rende esplicita una sensibilità che coglie nel mondo la propria stessa intimità. 
 

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