Colapesce e Dimartino - foto LaPresse

Terrazzo

Sesso e architettura: un rapporto antico

Manuel Orazi

Colapesce e Dimartino e la storia di una relazione complicata raccontata in un brano del nuovo album "Lux Eterna Beach"

Ci volevano Colapesce e Dimartino per accostare due termini tradizionalmente scissi almeno apparentemente. “Lux Eterna Beach” è il titolo del nuovo album uscito lo scorsa fine settimana e fra tanti riferimenti neo-postmoderni (la copertina rimanda ai Pink Floyd, i testi di varie canzoni a Ivan Graziani, Franco Battiato e altri) c’è anche questa canzone, “Sesso e architettura”: “Sole sopra le cupole / Spazio, ci vuole spazio sai / Per la stabilità dei nostri corpi / Riparati al fresco dei musei” e ancora “Restiamo insieme finché dura / Prendi bene la misura / È solo sesso e architettura”. Ben prima degli studi gender l’architettura ha avuto connotati sessuali, ma sempre nelle pieghe della professione e della ricerca, progetti un po’ nascosti per ovvi motivi come l’edificio Oikema a pianta fallica di Claude Nicolas Ledoux o le incisioni erotiche di Jean-Jacques Lequeu, entrambi architetti nella Francia della Rivoluzione. Soprattutto però si trattava di scherzi settecenteschi più che di veri progetti, sintomi di un edonismo strisciante temperato o represso a lungo dalle ideologie nate nel secolo successivo, l’800: il marxismo, il trascendentalismo americano di Thoreau, l’etica protestante del capitalismo borghese di Max Weber.

Nel ’900 però l’edonismo trova sempre meno ostacoli, nel secondo dopoguerra parte il più florido periodo di crescita mai visto prima, in Francia chiamano i “Trente glorieuses” gli anni fra il 1945-1975, arricchimento e democratizzazione, dove la scissione fra lavoro ossessivo e tempo libero – concetto del tutto inedito nel primo Novecento – si fa sempre più profonda nel mondo occidentale prima, e ovunque dopo il 1989. Se Oscar Niemeyer in Brasile usava allusive quanto sinuose forme femminili, Vittorio Gregotti dedicava al “tempo liberato” la Triennale del 1964, in precedenza infatti solo i grandi  borghesi potevano concedersi i piaceri più sfrenati come Carlo Mollino, un uomo “donne e motori”, che in un appartamento torinese arredato dai suoi mobili realizzò ritratti osé oggi osannatissimi. La rivoluzione sessuale parallela a quella studentesca e politica portò uno scossone soprattutto nel mondo del design: “il pianeta come festival” immaginato da Ettore Sottsass jr prima sulle sue fanzine e poi insieme con Poltronova, aprì le gabbie del radical design, dei vasi fallici, delle poltrone multiple dunque promiscue in stoffa leopardata o pelliccia sintetica, dai fiorentini Archizoom, Superstudio fino ai milanesi Alchimia e Memphis da dove usciranno Michele De Lucchi, Aldo Cibic e altri. L’edonismo reaganiano stimolò anche gli accademici: Beatriz Colomina, spagnola trapiantata a Princeton, nel 1992 pubblica Sexuality and Space, vent’anni dopo cura in Olanda e poi in Illinois la mostra Playboy Architecture: 1953-1979 dove si capisce quanto la rivista erotica regina abbia contribuito alla diffusione internazionale di un gusto nuovo e radicale in giro per il mondo. Aaron Betsky, futuro direttore della Biennale di Venezia 2008, nel 1997 pubblica Queer Space: Architecture and Same-Sex Desire (1997) che definire in anticipo è dir poco. “Metti da parte la paura / Vivi in fondo l’avventura / È solo sesso e architettura”.

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