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Terrazzo

Tutta l'umanità di Jimmy Nelson

Giacomo Giossi

La macchina fotografica diviene tra le mani del grande fotografo inglese un oggetto magico, capace di tradurre l’essenza di un modo reale in un tempo lungo e pre umano che lascia attoniti

Trascorrere l’infanzia in tre continenti (Africa, Asia e Sud America) educa certamente allo sguardo e a quella forma di pazienza che solo i viaggi esistenziali più accidentati possono regalare. Un antidoto sicuro non tanto alla noia, ma alla paura e alla violenza quando questa si palesa con la durezza insensata dell’uomo. Ha già vissuto molte vite Jimmy Nelson, il grande fotografo inglese, protagonista della mostra Humanity inaugurata il 20 settembre scorso tra le stanze di Palazzo Reale a Milano (fino al 21 gennaio 2024). Capace di tradurre il mondo in un’epica contemporanea imprevedibile e sorprendente, Nelson agisce con il suo obiettivo ritraendo di volta in volta l’anima dei popoli, cogliendone in ogni aspetto apparentemente quotidiano e minimo la forza esistenziale di una rivelazione assoluta. Forse il termine che meglio definisce l’opera di Nelson è proprio quello di cura, ovvero la capacità di prendersi a cuore il mondo e i popoli che lo attraversano portandoli in qualche modo in salvo nelle sue fotografie.

Sfuggire alla testimonianza e alla casualità della quotidianità per restituire corpo alle persone come ai luoghi.  Gli scatti, frutto di una fotocamera analogica di grande formato 10x8, offrono pienamente la forza trasformativa e al tempo stesso fortemente icastica di una bellezza e di un’estetica qui esplicitamente politica. Jimmy Nelson non concede nulla alla facile spettacolarizzazione, la sua ricerca si orienta verso la forza materica dei colori e verso la loro irriducibile densità. Un uso del colore che porta lo spettatore in un vero e proprio stato di trance in cui i colori assumono forme indipendenti e slegate dai soggetti. Viene subito così alla mente un paragone proprio con il bianco e nero dell’opera fotografica di Sebastião Salgado, da cui però Nelson si distingue prediligendo ad una composizione armonica - come nel caso del maestro brasiliano -, la forza spontanea dei corpi. Una mappa che apre il catalogo pubblicato da Skira offrendo un planisfero però privo di confini.

Un disegno frutto non di una facile retorica, ma di una forza immaginativa necessaria che permette a Nelson di attraversare foreste e deserti. Il fotografo inglese vive infatti in un connubio stretto tra mondo naturale e mondo antropizzato in una pienezza di senso che la nostra ansia, certamente giustificata, da climate change in primis, rende quanto meno ingenua. Nelson sta nel mondo così come stanno nel mondo gli sguardi degli uomini e delle donne che ritrae senza alcun grado di distinzione. La macchina fotografica diviene tra le sue mani un oggetto magico, capace di tradurre l’essenza di un modo reale in un tempo lungo e pre umano che lascia attoniti. Ci si confonde così tra le sale di Palazzo Reale ancora indecisi tra un ottobre che forse è ancora da polo a maniche corte, ma a tratti fa già voglia di una felpina sulle spalle. Mentre dalle pareti si viene osservati dagli occhi comprensivi degli indigeni a Milano, ben più radicati  e saldi di chiunque attraversi quelle stanze.

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