Due opere di Gabriele Basilico al Palazzo delle Esposizioni di Milano - Foto LaPresse

Gran Milano

Di cemento, amore e altre città. Omaggio a Gabriele Basilico

Francesca Amé

La storia di un fotografo e il suo amore viscerale per Milano raccontata dalla photo editor e moglie Giovanna Calvenzi

Gabriele Basilico soffriva di una patologia, di cui era ben consapevole: la "bulimia per il cemento". Giovanna Calvenzi, leggendaria photo editor e moglie del grande fotografo, di cui è stata compagna in tanti viaggi per il mondo e unita nell’amore per la nostra città, spiega al Foglio che "Gabriele non ha mai avuto ripensamenti su Milano". Un amore viscerale, il suo, nutrito fino all’ultimo dall’entusiasmo per la trasformazione del quartiere di Porta Nuova, seguito e documentato finché le forze glielo hanno concesso. Di madre veneta e padre brianzolo ("lo prendevo in giro dicendo che era un inurbato", sorride Calvenzi), una laurea in Architettura presa al Politecnico cinquant’anni fa e una vita passata a documentare le trasformazioni del paesaggio contemporaneo: da Roma alla Silicon Valley, da Mosca a Rio de Janeiro passando per Istanbul e Shanghai (solo per citare le metropoli che, tra le tante, catturarono maggiormente il suo obbiettivo), Gabriele Basilico (1944-2013) aveva con Milano un rapporto di vera elezione.

  

Gabriele Basilico, 1978-80 (Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico) 
  

"Negli anni – ha detto – è diventata per me come un porto di mare, un luogo privato dal quale partire per altri mari, per altre città, per poi ritornare e quindi ripartire". A dieci anni dalla scomparsa, la città ricambia la dedizione non con una semplice mostra, ma con la doppia esposizione “Gabriele Basilico. Le mie città" che da oggi si snoda alla Triennale, dove rimane fino al 7 gennaio, e nelle sale di Palazzo Reale, dove sarà visitabile fino all’11 febbraio. Promosso dalle istituzioni coinvolte e da Electa, che cura anche il catalogo, con la collaborazione scientifica dell’Archivio Gabriele Basilico, il progetto espositivo è affidato alla regia di Giovanna Calvenzi, insieme a Filippo Maggia e Matteo Balduzzi. E se a Palazzo Reale vediamo la Sala delle Cariatidi invasa da un complesso allestimento che propone un centinaio di foto in un in giro del mondo tra le grandi committenze ottenute da Basilico, è alla Triennale che cogliamo il sanguigno rapporto tra il fotografo e la sua città.  In questo palazzo che tanto amava, perché progettato da Giovanni Muzio della cui "Ca Brütta" Basilico aveva scattato così tante foto, sono esposte 13 serie fotografiche e centinaia di opere, di cui 180 fotografie a parete e un’ampia selezione di immagini d’archivio in teca. Si presenta, per la prima volta finalmente in modo organico, il lavoro di documentazione che Basilico ha realizzato sulla propria città nel corso di quasi 40 anni: si comincia con il reportage sociale, con il racconto lucido e mai banale delle periferie degli anni Settanta, si procede con la celeberrima inchiesta sulle fabbriche e poi si passa alla “Milano da bere”, con il boom del Modernismo degli anni Ottanta fino ad arrivare agli ultimi lavori, alla città che sale, con gli scatti su Porta Nuova e sul restauro del tetto del Duomo nel 2012.

 

Gabriele Basilico, Milano 1978-80 (Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico) 

 

"Gabriele amava il fatto che Milano si aprisse alla creazione di nuovi quartieri e a possibili nuove esperienze – continua Giovanna Calvenzi. Per lui Milano era una città media, un aggettivo non dispregiativo, ma che indicava la felice co-presenza di cose architettonicamente importanti e di realtà mediocri. Gabriele apprezzava queste doppia anima e tra i suoi quartieri preferiti c’erano, e non a caso, la zona della stazione Garibaldi e l’Isola".

  

Gabriele Basilico, Milano 1980 (Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico) 
   

Di Milano, città interrotta e complessa (“a cui Gabriele riconosceva la capacità di accoglienza, l’apertura alla diversità”, aggiunge Calvenzi), Basilico ha indagato, con la pazienza del documentarista più attento al rigore del proprio lavoro che all’effetto sorpresa del singolo scatto, le stratificazioni architettoniche più visibili e quelle sociali, sovente sottintese. Con i suoi paesaggi urbani che riflettono la passione per la metafisica di Giorgio De Chirico e per le volumetrie poderose di Mario Sironi, Basilico ha confezionato un impareggiabile album dei ricordi di una metropoli amata senza se e senza ma, ben prima che farlo diventasse di moda (anche se negli ultimissimi tempi, a dire il vero, è di moda il contrario). "Per tutta la vita – conclude Giovanna Calvenzi – Gabriele ha girato il mondo cercando tracce di Milano nelle altre città e cercando tracce delle altre città nei quartieri di Milano". Adesso è la metropoli meneghina a rendergli doveroso omaggio: in questi giorni gli sarà dedicato anche un giardino, uno spazio verde incistato nel cemento, davanti al civico 33 di via Pierluigi da Palestrina, non troppo lontano dalla sede dell’Archivio Gabriele Basilico. "Ne sarebbe stato felice", conclude Giovanna Calvenzi. 

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