Terrazzo

Il colosso di Pradate

Michele Masneri

Alla Fondazione milanese il terzo capitolo dell’indagine sui classici. Salvatore Settis ancora in coppia con Rem Koolhaas   

In tempi di crisi contemporanea, meglio buttarsi sull’antico. Così se il ritrovamento delle statue di San Casciano pare talmente bello da non esser vero, squarciando mesi e anni di guerra, carestia, destra-destra, inflazione, con quelle immagini invece da “Roma” di Fellini e di classicismo che ci riportano a un’epopea fatale da grand tour, a Milano non c’è bisogno di disseppellire, basta andare alla o meglio “in” Fondazione Prada per vedere la fantasmagorica mostra “Recycling Beauty”, che dietro il  titolo sbarazzino presenta l’ultimo capitolo della saga pradesca winckelmanniana.  La mostra continua il percorso cominciato nel 2015 quando la Fondazione presentò contemporaneamente negli spazi di Milano e Venezia “Serial Classic” e “Portable Classic”, curate da Salvatore Settis come questa e progettate come questa dal sublime architetto Rem Koolhaas, il Valadier di casa Prada. 

 

Una storia lunga vent’anni: poco prima dell’11 settembre 2001, Rem Koolhaas pubblicò “Projects for Prada”, uno dei suoi ipertesti fatti di fotografie, grafici e statement perentori. Il primo negozio firmato dall’architetto olandese, fresco di Pritzker Prize dell’anno prima, aveva appena aperto a New York, dalle parti di Little Italy, ma era tutta un’altra cosa: un epicentro, molto più che un negozio, almeno nelle intenzioni. Nel libro, il primo prodotto insieme con la Fondazione, Koolhaas asseriva che in un mondo dove tutto è shopping, e lo shopping è tutto, “la nostra ambizione è quella di catturare l’attenzione e, una volta ottenuta, restituirla al consumatore […] il lusso è rough (ruvido, grezzo)… se ovunque è liscio, l’arte diventa ciò che mantiene una qualità di ruvidità, in questo futuro il lusso dev’essere grezzo”. 

 

Ecco dunque il lusso grezzo che accompagna il nuovo capitolo dell’indagine molto milanese di Prada su temi come la serialità, il riuso e il riciclo nell’arte in cui il patrimonio antico, e in particolare quello greco-romano, diventa, per usare le parole di Settis, “una chiave di accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo”. Quindi pezzi “classici” in realtà medievali, mosaici cosmateschi ottenuti triturando antichi pezzi incommensurabili, testine secentesche applicate su busti romani, pezzi che hanno fatto varie volte il giro del mondo e sono diventati un’altra cosa. Antichità che non lo erano, col  pezzo antico che abbandona la propria condizione iniziale o di rovina e viene riattivato, acquistando nuovo senso e valore grazie al riuso. 
 

E qui il riuso ha ancora più senso nelle quinte lussuosamente grezze e poliziesche dell’allestimento koolhaasiano, con le basi delle antichità ready made in pellet di diversa foggia, tutti diversamente grezzi, a tenere su statue greco-romane da capogiro provenienti dai massimi musei d’Europa, compresi quelli Vaticani. Il contrasto è estremo, in linea con la storia ventennale della collaborazione Oma-Prada. Oltre ai pellet ci sono dei pezzi più piccoli appoggiati sopra  comuni scrivanie da ufficio, quindi visibili ad altezza di sedia con le rotelline, altra esperienza grezza che avvicina sensibilmente a sculture solitamente tenute molto distanti. Mentre l’eccezionale tazza Farnese, manufatto ellenico che ha girato il mondo (antico), squisito piattino in pietra “sardonica”, è visibile davanti e dietro in un gioco di vedo-non vedo tra gli spettatori. 

 

Il culmine però è nella sala 2, la cosiddetta Cisterna dove a fianco del piedone e manone originali di solito esposti nel cortile del Palazzo dei Conservatori di Roma c’è la ricostruzione della statua colossale di Costantino (IV sec. d.C.) con tanto di veste, lancia e sfera del potere tutti dorati come la palazzina Prada qui. Era dai tempi del progetto di Carlo Aymonino per la ricostituzione del colosso che ha dato il nome al Colosseo, appunto, che nessuno ci provava, solo che stavolta ci sono riusciti, anche se a Milano e non a Roma (vecchia questione). 


E qui il “popolo della moda” sciama in mezzo a professoresse in astrakan e mascherina tra le statue antiche  e le didascalie che come radiografie indicano il nuovo e l’antico in due colori diversi (mentre il “popolo dei selfie” si riprende senza tregua cercando il filtro migliore, e su al ristorante Torre il popolo del pranzo domenicale inciampa in continuazione nelle palchette inventate da Rem per guardare lo scalo ferroviario (presto villaggio olimpico Prada, riuso). 

 

Con questo nuovo capitolo Miuccia continua la sua opera di ineguagliata patronessa delle arti, che con sublime sprezzatura dirazza e volteggia tra epoche e formati, pattinando tra neuroscienze e mondi digitali e poi quando meno te l’aspetti piazzando questa mostra da Louvre a Milano Sud (ma già ribattezzata: zona Pradate). Sorge spontanea la domanda: ma sempre in tema di riciclo, e di fronte alla controversa candidatura Moratti, il Pd milanese e anzi regionale e nazionale avrà almeno  sondato e pregato la più compatibile ed esportabile Miuccia? Che già qualcuno aveva considerato (a partire da lei stessa) per il posto di sindaco nel lontano 2006, proprio in risposta alla candidatura morattiana (che vinse col centrodestra). All’epoca Renato Mannheimer, amico di famiglia pradesco e sondaggista allora molto in voga, fece un “poll” riservatissimo da cui risultava che il brand riflessivo di culto globale non avrebbe riscosso però molti successi fuori dalle aree C. L’Inter tirava di più. Poi la sinistra candidò il prefetto Bruno Ferrante e perse lo stesso, senza brand globali né locali (però oggi magari le cose sarebbero un po’ diverse, mah, chissà).


 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).