Guido Guidi, ITT Perlstein Hall, Chicago, 1999, stampa a contatto, cm 20X25. Guido Guidi courtesy Vasaterna

Guido Guidi e le sue fotografie

Michele Masneri

Non solo architetture e paesaggi ma anche i ritratti inediti alla figlia. La mostra del fotografo romagnolo da martedì a Milano

Periferie urbane, campagne, frammenti incompiuti come paesaggi prodotti da drammatici sconvolgimenti tellurici; il terremoto di Gibellina nella Sicilia del Belice; grandi architetture e collassi edilizi minori; Le Corbusier e Mies van der Rohe: sono ormai decenni che Guido Guidi occupa autorevolmente il panorama della fotografia italiana. Il grand tour di ricognizione, iniziato già alla metà degli anni Sessanta accompagnandosi a una generazione di fotografi italiani, è continuato fino a oggi, con un movimento continuamente oscillante tra i paesaggi casalinghi delle campagne dietro casa, e quelli dell’Italia e dell’Europa. In questo viaggio, Guidi è stato costantemente affiancato dalla conoscenza e dalla complicità con i grandi fotografi, soprattutto americani, del suo tempo: da Robert Adams a Lewis Baltz, da John Gossage a Stephen Shore. Però certo con una specificità molto local. Edilizie spontanee, non finito, Romagna orientale, Strada Romea, Porto Marghera e Ravenna.

 

Debiti, dichiarati, coi maestri d’università Bruno Zevi, che “veniva da Harvard e che ci parlava di Frank Lloyd Wright, dell’architettura organica e del vernacolare”, ha detto ad ArtTribune. Con Carlo Scarpa. E poi naturalmente con Ghirri, il vate della nostalgia paesaggistica italiana. Rispetto al quale però Guidi (figlio e nipote di falegnami romagnoli) ha sempre tenuto un piglio meno melanconico e più rustico-composto. Adesso “Guido Guidi. Altre storie” è il titolo di una mostra curata da Marco De Michelis e Paola Nicolin, storico dell’architettura a Venezia il primo, storica dell’arte la seconda, marito e moglie nella vita. La mostra, che apre martedì alla galleria Viasaterna di Milano, è una selezione di una cinquantina di fotografie per lo più inedite.

 

Con una suddivisione in apparenza stravagante: al primo piano le opere dedicate all’architettura e al paesaggio, mentre di sotto ecco foto mai esposte fatte ad Anna, figlia dell’artista. “L’idea è nata da Irene Crocco, fondatrice di Viasaterna”, dice Paola Nicolin al Foglio, “e ho accettato di lavorare a fianco a mio marito con l’idea precisa che ci saremmo occupati di due aspetti diversi, lui del percorso classico, delle foto d’architettura, e io dei ritratti alla figlia. Fotografie mai mostrate prima, che Guidi ha scattato alla figlia da quando è nata a quando è diventata una giovane donna. Mi interessava soprattutto raccontare un’altra storia che non fosse quella classica di Guidi”, dice Nicolin.

 

I due percorsi, in apparenza autonomi, stanno bene insieme e sono perfettamente speculari, mostrano lo stesso attaccamento alla realtà animata e a quella inanimata, soggetto dopo soggetto, fino a raggiungere sempre maggiori livelli di astrazione dalla figura, pur rimanendo saldamente ancorato alla nitidezza e all’esattezza che caratterizzano “l’occhio” guidiano. Anna, l’unica figlia dell’artista, è stata fotografata per anni, diventando insieme soggetto e oggetto dell’occhio paterno, che l’ha ripresa in sequenza, maniacalmente, forse come ogni genitore: e così questi ritratti paiono in primo luogo una dichiarazione d’amore alla fotografia, oltre che a lei. E, in definitiva, all’attività del guardare (e del fotografare, e anche del mostrare, un po’: in particolare queste foto, mai viste prima, superando così una riservatezza leggendaria).

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