L'architetto Mario Bellini (Immagini prese da Facebook @mariobelliniarchitects)

Mosca celebra l'Italian beauty di Mario Bellini

Michele Masneri

Dalla Divisumma alla poltroncina Cab al divano Le Bambole E poi il Louvre, e Fiumicino. La mostra sul designer-architetto

Si chiama Italian beauty ed è la bellezza spiegata ai russi. Sarà a Mosca al museo d’architettura Shusev fino al 13 aprile la grande mostra sul più compassato (nel senso di compasso d’Oro, ne ha vinti 8) designer italiano. Mario Bellini, che nella seconda parte della sua carriera è un progettista di “contenitori”, nella prima, più mainstream, ha disegnato alcuni oggetti molto identitari per tinelli e salotti e scrivanie globali e locali. Inventore delle sedie più eleganti d’Italia: le Cab di Cassina, che ribaltano l’idea della poltroncina in pelle da casa dei ricchi, trasformandola invece in un telaio di ferro ricoperto da un guanto minimalista (700 mila esemplari, tuttora in produzione); e poi il divano “Le bambole” per B&B Italia, grande bestseller, che nasceva nei primi anni Settanta come un cuscinone morbido senza struttura portante, attacco al cuore del salotto “buono” italiano magari con sopra il suo centrino dell’epoca (era l’epoca in cui l’attacco alla borghesia era condotto soprattutto dai mobilieri, vedi la Sacco di Zanotta poi passata in Fantozzi).

 

Piero Busnelli, fondatore di B&B, esempio di quella aristocrazia brianzola dell’imbottito che fece grande Milano e sconfisse il noce nazionale, ebbe l’intuizione di assumere Oliviero Toscani (nuovissimo anche lui, al tempo, dieci anni prima di Benetton) per farne la pubblicità. Toscani ci mise sopra la modella Donna Jordan, musa di Andy Warhol, in pose un po’ discinte, e funzionò (ma non ce n’era bisogno, infatti oggi tutti agognano ancora il divano, ma si sono dimenticati di quella campagna). Anche in ufficio Bellini ha lasciato un segno: nel 1973 disegna la Divisumma, prima calcolatrice completamente in gomma e in colori fluo, oggi feticcio per appassionati, uno dei primi “device” non deprimenti bensì allegri e animati, che ispirarono come è noto Steve Jobs.

 

Il fondatore della Apple assistette nel 1981 a una lezione che Bellini tenne all’International Design Conference ad Aspen, in Colorado. Lo citerà in seguito nella sua autobiografia, ma non riuscirà mai a convincerlo a collaborare (due volte verrà a incontrarlo a Milano nel suo studio). “Ho sempre disegnato sedie ed edifici, muovendomi con naturalezza nel cambio di scala” dice Bellini. “Forse perché appartengo a quella scuola milanese erede della tradizione dei grandi architetti del Novecento, abituati a progettare oggetti, arredi, case, musei, città”. “Subito dopo la laurea sono stato letteralmente travolto invece da oggetti e arredi che mi hanno dato un successo internazionale”, spiega il designer riluttante. “Fino al 1987, anno in cui la mostra al MoMA sul mio lavoro mi ha fatto cambiare strada e portato sul progetto di grande scala”.

 

Nell’87 infatti il museo americano gli dedica una grande esposizione e per lui si chiude quasi un capitolo: si mette a fare edifici. Tra gli ultimi progetti, nel 2011 a Francoforte la sede centrale di Deutsche Bank, a Parigi nel 2012 il Dipartimento delle arti islamiche al Louvre, secondo innesto contemporaneo nel grande museo dopo la famosa piramide di Ieoh Ming Pei. L’anno scorso, anche, il nuovo T3, il terminal dei voli internazionali a Fiumicino, che rilancia il progetto del 1960 di Morandi e Luccichenti, e contribuisce a quel poco di orgoglio romano per una delle poche cose belle e funzionanti che vi siano nella capitale d’Italia. A trent’anni di distanza dalla grande mostra del MoMA, nel 2017, la Triennale di Milano ha dedicato a Bellini (che è anche viaggiatore, fotografo, e fu direttore di Domus) questa grande retrospettiva, che adesso sbarca a Mosca (e che Bellini preferisce chiamare “Prospettiva”, non si sa se in onore alla Russia o a una sana scaramanzia).

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