Da sinistra: Aldo Cibic, Ettore Sottsass, Jean Pigozzi, Marco Zanini e David Kelley a New York nel 1981

Terrazzo

Disegnando California

Michele Masneri

Aldo Cibic, il design italiano e la sharing economy in Silicon Valley. Perché San Francisco è la nuova Firenze, o almeno Milano. Architettura e umanesimo. Una conferenza

Si aggira per San Francisco col suo cappotto blu, e vuole capire tutto. Aldo Cibic passa sempre più tempo in California ed è stato invitato dall’Istituto di Cultura di San Francisco per la giornata del design italiano. Ha deciso di reinventarsi in Silicon Valley perché, dice al Foglio, “qui c’è un nuovo rinascimento”, e lo dice anche alla platea americana che lo ascolta in un mega show room d’arredamenti costosi per magnati siliconvallici (c’è una cucina Boffi che viene 212 mila dollari, in saldo 145 mila, un affare). Lui è convinto. “E’ un laboratorio di futuro, per capire come il futuro sta cambiando”. “Certo, poi mi dicono che i Medici erano più colti di questi qui. Però allora diciamo la cappella degli Scrovegni a Padova, gli Scrovegni erano – come si dice in inglese – strozzini!”- “O se non Padova almeno Milano, la Milano del Dopoguerra quando nasce il design italiano. “C’erano le imprese, Flos, Artemide, Kartell, i nuovi materiali, le plastiche, le schiume. L’anomalia era che non c’erano i designer, e così si sono rivolti agli architetti, Castiglioni, Magistretti, Mangiarotti, Bellini, tutti architetti. Era un design con una forte carica estetica, umanistica. Probabilmente non sarebbe mai successo se non fossero stati architetti”.

 

In Silicon Valley invece ci sono tanti soldi ma manca sia un’estetica che un’architettura un po’ umanistica – mentre qui si arreda lo spazio virtuale delle nostre vite, orridi palazzoni da geometra vengono su come funghi, e i più prestigiosi magnati vivono notoriamente in ambienti Ikea. Dunque qui università e committenti se lo litigano questo designer che vuole vedere tutto e capire tutto, e magari disegnare anche un po’. “Il design dell’oggetto secondo me è in declino”, dice però lui. “Non è che si trovi in giro roba nuova. Vedi poltrone stile anni Cinquanta, tante citazioni e copie. Lo spirito del tempo è passato invece dall’oggetto all’attività. E’ l’estetica di Uber o Airbnb che mi interessa. Il design dei servizi. Uber è un ammortizzatore sociale fenomenale, altro che reddito di cittadinanza”, è convinto.

 

Degli allievi di Ettore Sottsass, Cibic del resto è sempre stato il più immaterialista. “Se ho lasciato qualcosa in eredità, è nel lavoro di Cibic”, diceva Sottsass, conosciuto per caso. “Mio papà lavorava alla Marzotto, io facevo il liceo scientifico a Vicenza anzi a Schio, Detto orinal di Dio, perché piove sempre”. “Avevo fatto quattro esami ad architettura tanto per non fare il militare, e mi rifugiavo in biblioteca a leggere Abitare e Domus. Mi definivo ‘arredatore’. Poi un giorno un’amica di mio fratello mi dice: ‘anche il fidanzato di mia zia fa l’arredatore, si chiama Sottsass! Abita sopra di noi’. Io avevo ventidue anni, lui sessanta. era il ’77. Una settimana dopo ero a lavorare con lui, nello studio dell’Olivetti, dove Sottsass dirigeva il design dell’azienda di Ivrea. C’era Marco Zanini, c’era Matteo Thun, e poi Michele De Lucchi che era il nostro fratello maggiore”. “Nel 1980 fondiamo Sottsass e Associati”.

 

Tra tutti gli allievi, Cibic è l’unico che non viene dalla facoltà di architettura di Firenze, dove era esplosa la bomba dell’architettura radicale. Anzi – come precisa sempre - è autodidatta. “Marco Zanini mi guardava e diceva: ‘questo non ha il physique du rôle per fare l’architetto’; io ero talmente eccitato ed emozionato e poi non sapevo neanche cosa volesse dire quella parola”.

 

“Un osservatore della società, Sottsass si definiva. E diceva che se non avesse fatto l’architetto avrebbe fatto l’antropologo”. E’ una coincidenza che entrambi siete finiti in California a un certo punto? Come diceva poi Frank Lloyd Wright: prima o poi tutto scivola su quel grande piano inclinato che è l’America e arriva in California. “Ma no, poverino, lui era venuto qui a curarsi perché l’ospedale di Palo Alto era l’unico in grado di curare una malattia che aveva preso in India. Fu Gianluigi Gabetti, che all’epoca seguiva l’Olivetti in America, a farlo venire qui”. Coi Gabetti poi Cibic ha mantenuto un rapporto, ha disegnato una casa nella Langa per Cristina, figlia dell’ex capo dell’Ifil.

 

Vita col Maestro: “un giorno stavamo andando in Friuli da un cliente, e lui non dice una parola tutto il giorno. ‘Hai visto come sembravo suonato?’, mi chiede improvvisamente. Era passato Elio Fiorucci al ristorante e gli aveva dato una pasticca, Lsd. Fiorucci gli faceva provare sempre tutte le sostanze”. “A Palm Springs a casa di Max Palevski, il leggendario collezionista e fondatore di Intel che teneva una Ferrari Dino metallizzata parcheggiata davanti. Stavamo in questa casa incredibile con gli altoparlanti nella piscina da cui usciva una messa cantata di Bach. Sottsass era stato invitato lì per andare nel deserto a provare l’ecstasy tra i cactus in fiore. Ogni volta che ricordava questo momento piangeva, perché diceva che era la cosa più bella che gli era successa nella vita”. Un altro personaggio che gravitava attorno a Sottsass era Jean Pigozzi, il figlio del fondatore della Simca, leggendario socialite da Amici miei. “ Avevamo fondato questa compagnia che si chiamava Enorme Corporation e le riunioni si tenevano nella sua casa di Central Park, oppure nella villa di Antibes. Pigozzi era frustrato perché non aveva ancora un miliardario, ed era solo milionario. Questa cosa non riusciva a tollerarla. Il padre aveva venduto la Simca alla Chrysler”.

 

Ma a Cibic non interessano i ricconi, cerca piuttosto soluzioni di vita condivisa, “opportunità di miglioramento sociale grazie al disegno di un servizio e di una piattaforma che creano microeconomie”. “Se nel mio palazzo ci fosse un ristorante condiviso e potessi non mangiare da solo, ci sarebbe un’amplificazione delle possibilità”, dice. I suoi progetti di case e città e mestieri sharing ante litteram (con orti in condivisione, e coworking per sciuscià) sono stati presentati in varie Biennali, finanche in Cina, dove l’hanno fatto professore onorario.

 

Abiteremo più spesso insieme nel futuro? “Spero proprio di sì”, dice, citando i progetti di Muji e Airbnb che hanno progettato case condivise in Giappone. E’ chiaro che si va in quella direzione. A lui piace disegnare, più che villozze, soluzioni per problemi (o problemi per soluzioni) sociali. Come la “Freedom room”, una stanza da 9 metri quadri, la dimensione standard delle celle, realizzata insieme ai carcerati di Spoleto. Il risultato è uno spazio ideale con tutto quello che serve nel minimo possibile. “Margaritelli, l’imprenditore del Listone Giordano, mi aveva chiamato per fare questo progetto, timidamente. Non sapeva che sono abituato a queste cose. Del resto la mia festa di matrimonio l’ho fatto all’ospedale psichiatrico di Milano, il Paolo Pini. Trecentocinquanta ospiti oltre ai centocinquanta pazienti con mia moglie Cynthia vestita come una fata a portare i confetti a tutti i pazienti. Ma in passato ero già stato art director del bar sempre dell’ospedale psichiatrico”, molto prima che Wes Anderson facesse l’art director-barista alla Fondazione Prada. “Un esperimento sociale: quando tu porti qualità in contesti diversi, la società migliora”. “E’ l’osservazione del reale che ti fa venire in mente quante possibilità ci sono” dice Cibic, che in Silicon Valley sguazza, tra imprenditori e startuppari che cercano nuove strade. “Qui Peter Thiel finanzia una società che costruisce isole sovrane. Qui Werner Herzog riusciva a raccogliere i soldi per finanziare i suoi film. Qui se trovi dei compagni di viaggio giusti puoi fare qualunque cosa”, dice tutto contento. “Quando non capisci più, puoi chiedere”, ed è quello che succede col suo progetto Incomplete, una specie di grande intelligenza artificiale e un sito, Incomplete.design, che ti fa delle domande, raccoglie informazioni, e poi risputa statistiche (“che senso ha l’opera d’arte? Il cattivo design deve essere punito? Manca qualcosa nella tua vita?”). Questi big data però non vengono utilizzati per venderti poi un dentifricio mirato su Amazon. Rimangono lì, in costante aggiornamento, e sono del tutto gratuiti: e questo lascia sbigottiti i siliconvallici, di fronte all’abisso dell’umanesimo europeo e free.

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