L'isola delle sirene

Michele Masneri

Un gruppo di artiste sta comprando l’Isola delle Femmine, isolotto disabitato al largo di Palermo. Una repubblica indipendente femminile?

Il #metoo sarà pure nato a Hollywood, ma è solo in Sicilia che le femmine hanno deciso di farsi il loro stato sovrano. E dove se non proprio sull’isola delle Femmine, l’isolotto disabitato che sorge di fronte all’aeroporto di Punta Raisi? Le femmine alla base di questo progetto le riconosci perché agli orecchi portano un segno distintivo, un orecchino, opera dell’artista Nora Renaud, che fa parte del collettivo femminista-sovranista.

 

Le altre sono: Valentina Guerra, art producer, Stefania Galegati, artista, Claudia Cangiani e Giusy Diana curatrici, Marcela Caldas, architetto, drammaturga, colombiana ma anche un po’ spagnola; e soprattutto palermitana. Le femmine sovraniste sguazzano in questa primavera palermitana. “L’idea ci è venuta nel 2017. Siamo partite che volevamo occuparla, l’isola”, dice Valentina Guerra davanti a un caffè, la mattina, in centro a Palermo. “Poi abbiamo scoperto che era in vendita, c’è un sito, guarda”, l’agenzia si chiama Romolini, “è un’agenzia immobiliare di Arezzo”, mi fa vedere un annuncio, su un sito con stemma dorato su fondo rosso pompeiano. “Associata a Christie’s”. “Vedi, ci sono anche le specifiche: stanze, zero, piscina, no, superficie, 494 metri quadri”. Calpestabili? “Terreno, ettari 15”. Costo, tre milioni e mezzo. L’Isola delle Femmine è l’ultima cosa che vedi dall’aereo quando ti stacchi e voli verso il continente. L’isola, che è disabitata e sottoposta a infinite tutele, non è edificabile, mi dice Valentina Guerra. Sopra, c’è solo una torre di avvistamento, progettata da Camillo Camilliani, lo stesso della fontana Pretoria di Palermo”. E solo uccelli.

 

La sua storia è misteriosa. “E’ lì, vicina ma irraggiungibile, a settecento metri dalla riva. Era probabilmente a un certo punto un carcere” spiega Marcela. “le origini del suo nome sono diverse. Si parla di tredici fanciulle turche che per la società dell’epoca si erano macchiate di colpe gravi e furono così abbandonate dai loro mariti, in mare, alla deriva. Un lungo viaggio che poi le portò sull’isolotto dove vissero sole per sette anni, fin quando i coniugi, pentiti della loro azione, le ritrovarono dopo molte ricerche. Le famiglie così riunite decisero di non fare più ritorno in patria e di stabilirsi sulla terraferma. Fondarono quindi una cittadina che in ricordo della pace fatta, chiamarono Capaci “Ccà – Paci” cioè “qua la pace”, e battezzarono l’isolotto sul quale avevano vissuto le donne “Isola delle Femmine”. Altre leggende: “un luogo dove si andava a prelevare le donne, servendosene. I guerrieri avevano diritto a servirsi delle donne per la durata di una luna”, dice ancora Marcela Caldas. Intanto Stefania Galegati, artista che da dieci anni ha lasciato New York e si è trasferita a Palermo, ha un’altra versione: il nome viene da “Fimi, variante storpiata di Femio, a sua volta derivante da Eufemio, governatore bizantino di Messina. Altra presunta origine potrebbe essere di derivazione dal nome latino "Fimis", a sua volta "latinizzazione" del termine arabo "fim" cioè l'imboccatura, lo stretto canale che separa l'isola dalla costa”.

  

Di sicuro l’isola delle femmine ispira molte fantasie. “Tutti gli uomini con cui parliamo di questo progetto sono convinti che ci fosse un carcere femminile. Altri se la immaginano piena di donne, magari nude. Mentre invece ci sono solo gli uccelli, protetti dalla Lipu”, dice Galegati. Ma, fantasie a parte, la realtà è superiore.

 

E’ subito romanzo immobiliare. “Oggi ho comprato il foglio catastale”, dice Valentina. “Ma sul catasto l’isola non c’è”. Ci sono varie famiglie che affermano di esserne proprietarie. Una è costituita dagli eredi di Rosolino Pilo, il patriota che guidò i moti antiborbonici del 1848. “La proprietà ufficialmente è di Paola Pilo Bacci, contessa di Capaci, una discendente che abita a Roma”, dice Valentina Guerra. “Però non ci sono i documenti, perché l’isola è loro dal 1600 e non è che c’è il rogito”. Così adesso l’agenzia ha difficoltà a trovare le carte per la vendita. Poi ci sono altri proprietari che hanno i documenti ma non avrebbero la proprietà. “C’è una famiglia di avvocati che sostiene che catastalmente sia loro, e che sia passata loro per enfiteusi”. Ma che è l’enfiteusi? Sarà parente dell’usucapione? Non si sa, però la vicenda è splendidamente siciliana.

 

Ma che ci dovete fare, con l’isola? Una repubblica femminile? Uno stato sovrano?” “Potrebbe essere un’idea”, dice Valentina Guerra. “All’inizio eravamo affascinate dalle esperienze di quegli eccentrici che fondano stati sovrani, come l’ingegner Rosa che ha fondato l’Isola sovrana delle rose”. Ma in realtà sarà soprattutto un’operazione artistica: l’isola, disabitata e inabitabile, sarà solo un simbolo. “Stiamo studiando come potrà essere la proprietà. Trecentocinquantamila quote da dieci euro. Una fondazione, o un’impresa sociale, o un trust. Di sicuro però sarà una proprietà collettiva femminile” dice Marcela. “Questo è sicuro, solo donne. In Sicilia in particolar modo il maschio non fa niente, è decorativo, le donne invece sono fortissime”.

 

Si sta facendo un sito Internet, delle cartolina d’artista (“Saluti da isola delle Femmine”). Stefania Galegati ha cominciato una serie di quadri che raffigurano l’isola, e nello sfondo, la trascrizione completa del “Secondo Sesso” di Simone de Beauvoir.

 

Ci vorrà una bandiera. Un giglio borbonico mettiamocelo. Fantastichiamo: anche un esercito di amazzoni, come quelle di Gheddafi. Intanto l’isola fa parte dell’omonimo comune, Isola delle Femmine, a guida Pd. “Ho preso appuntamento col sindaco”, dice Valentina Guerra. Chissà come reagirà alla secessione.

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