Da dove arriva l'acqua dei romani

Michele Masneri

L’acquedotto del Peschiera che porta 13.700 litri d’acqua di sorgente al secondo a 3 milioni di cittadini in mostra al Palazzo delle Esposizioni

C’era un tempo in cui le grandi opere avevano il coraggio di chiamarsi col loro nome; così oggi nell’Italia tremebonda del reddito di cittadinanza commuove una piccola celebrazione del grande acquedotto che da ottanta anni fornisce di acqua Roma e i romani (anche, una piccola punta d’orgoglio capitale nell’Italia milanocentrica). A Palazzo delle Esposizioni, in mostra da giovedì gli ottant’anni dell’acquedotto del Peschiera, così chiamato poiché dal misconosciuto rio Peschiera (in Sabina) ancor oggi rifornisce Roma: uno dei più grandi e complessi del mondo, lungo 116 chilometri, che trasporta 13.700 litri d’acqua di sorgente al secondo a 3 milioni di cittadini. In una città disgraziata come Roma, dove arde il bus e si accumula la monnezza, l’acqua è un’eccellenza. Acqua santa, dunque, da celebrare.

 

L’idea di dotare la capitale di un grande sistema idrico nacque nei primi del Novecento con l’ampliamento della città che cresceva di 40.000 abitanti all’anno. Nel 1938 la prima pietra, il 27 ottobre 1949 l’inaugurazione, col presidente della Repubblica Luigi Einaudi che – si vede qui in un cinegiornale Luce - si abbevera al primo calice fornito dall’acquedotto Agea – allora Agenzia governatoriale elettricità ed acque, poi Acea, nella appositamente creata fontana di Piazzale degli Eroi. Gesto simbolico, anche, passaggio di poteri acquatici: il calice usato da Einaudi era lo stesso utilizzato molti anni prima dall’ultimo Papa Re, Pio IX, per inaugurare l’antico acquedotto dell’acqua Marcia. “Brilla il primo sgorgo” narra la voce del Luce. “Dai cassoni troppo spesso vuoti si applaude . Questi zampilli annunciano la fine della siccità”.

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