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Fisco inferno. Un documentario racconta lo Studio 54

Michele Masneri

La nascita, il successo clamoroso, la caduta. Un nuovo film sull’avventura dei due fondatori, poi arrestati per frode

Forse di un’ennesima indagine sullo Studio 54 non si sentiva il bisogno, però questo nuovo film, uscito in estate negli Stati Uniti, e disponibile ora su Amazon (per ora solo in Inghilterra), ha due vantaggi. Intanto l’autore: Matt Tyrnauer, biografia giornalistica d’America. Pezzo grosso di Vanity Fair, destinato a prenderne la direzione per il post-Graydon Carter, ha ringraziato e ha fondato la sua casa cinematografica, e ora fa praticamente solo documentari, divertendosi di più e guadagnandoci evidentemente di rilevanza.

   

Tyrnauer ha svoltato nel 2008 con “Valentino, the last emperor”, che ha inaugurato il filone dei documentari-sugli-stilisti e consacrato la casa Vianello globale del duo Valentino-Giammetti consegnandoli definitivamente al mito (tutti noi sappiamo le battute a memoria, da “trop de sable”a “troppo abbronzato”). Poi ha proseguito con “Scotty and the Secret History of Hollywood”, presentato l’anno scorso alla Festa del cinema di Roma, doc su Scott Bowers, piccolo imprenditore della prostituzione che da una pompa di benzina aveva messo su un’agenzia di escort allietando notti e pomeriggi delle star anche più ufficialmente morigerate della Hollywood del boom.

    

Adesso l’archeologia della celebrità di Tyrnauer prosegue con “Studio 54”, la celebre discoteca che per soli 33 mesi, dal 1977 al 1980, catalizzò le attenzioni di tutti a New York. Ma non c’è solo la consueta narrativa di mondanità-sesso-droga, cavalli veri sul palco e elenchi di star (da Michael Jackson a Andy Warhol, secondo cui lo Studio 54 per la severità dei selezionatori all’ingresso era “una dittatura sulla porta, una democrazia sul palco”). Il documentario racconta piuttosto come nacque e fu gestito il locale, nelle parole di uno dei due fondatori, Ian Schrager, che creò il leggendario night con un suo compagno di studi.

    

Schrager e Steve Rubell si incontrarono all’università a Syracuse, provarono a metter su dei ristoranti, poi delle discoteche. Una a Boston e una a New York. Qui si imbatterono in un palazzone cadente a West 54 Street, che era stato anche studio della Cbs e teatro d’opera. Non avevano permessi di alcun genere: né per costruire, né per aprire il locale, né per servire alcolici. Ma ebbe talmente successo che tutti chiusero diversi occhi. Solo la übris li tradì. Steve Rubell, l’altro socio, morto poi di Aids negli anni Ottanta, disse in un’intervista al New York Magazine che “solo la Mafia fa di meglio dello Studio 54”.

   

Incuriositi dal paragone, gli investigatori del fisco americano decisero allora di andare a vedere i conti, chiusero tutto, e i due soci, in mancanza di condoni, furono condannati a 20 mesi di prigione ciascuno. La pena doveva essere in realtà doppia, ma Schrager fece i nomi di altri locali che evadevano le tasse, e gli fu dimezzata. Schrager, si vede nel documentario, si vergogna di questa soffiata molto più che della condanna, contraria al galateo della mala (essendo figlio di un gangster associato con Lucky Luciano e con la meglio camorra newyorchese). Lui si è poi rifatto una vita, integerrima e liquida. Ha fondato una primaria compagnia di hotel che porta il suo nome, ed è stato graziato definitivamente dal presidente Obama.

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