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La tv al tempo della guerra. Intervista a Enrico Mentana

Salvatore Merlo

Come conciliare il talk-show con il conflitto in Ucraina? Che c’entra il Copasir con l’informazione in tv? Lavrov, l'informazione e i paletti

“Siamo sicuri di voler farci dire da un presidente del Consiglio come va fatta un’intervista?”. La domanda, come si dice, è di quelle retoriche. Nasce dal giudizio di Mario Draghi sull’intervista dell’altra sera, su Rete 4, a Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo: “Un comizio. Non granché professionale e fa venire in mente strane idee”. E mentre Enrico Mentana si pone questa domanda, sottintendendo ovviamente la risposta, ecco che le agenzie di stampa e i social media si riempiono di annunci su possibili indagini del Copasir  relative a una più generale “penetrazione della propaganda russa nella tv italiana”. Ecco carrettate di deputati e senatori che disquisiscono  su chi (e come) debba rappresentare le proprie opinioni in tv. Ecco infine l’immancabile  commissione di Vigilanza Rai che stende un decalogo sulla qualità degli ospiti da salotto televisivo. Oggi il decalogo sarà sottoposto addirittura all’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes. E allora Mentana un po’ ride e un po’ forse si arrabbia. “Un’intervista può essere fatta bene o male, però… di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che ci informa di un eccesso di passione televisiva per la Russia? In tv? Ma accidenti: Putin nella politica italiana era un faro per molti partiti. Anzi, oggi tra Camera e Senato c’è una maggioranza parlamentare assoluta di forze che sono state con Putin”. Quindi? “Quindi il Copasir indaghi su se stesso. Mi sembra una roba da matti. C’è una guerra, c’è Lavrov che ha detto delle cose bestiali in un’intervista, che ha persino provocato una crisi con Israele, e mentre succede tutto questo noi discutiamo di Rete 4 e di Giuseppe Brindisi che gli ha fatto l’intervista?”. Ombelicali. “Feticisti dell’epifenomeno. Questo è il Parlamento più putiniano della storia della Repubblica”.

  

“Enzo Biagi intervistava Buscetta e Luciano Liggio”, dice Enrico Mentana. “E chiunque di noi, se avesse potuto, avrebbe intervistato il dittatore tal dei tali”. Però dicono che l’intervista fosse compiacente a Lavrov. “Mah, tutti maestri di giornalismo in Parlamento. Allora facciamo una bella commissione su tutte le interviste compiacenti che si fanno ai politici italiani. Vediamo un po’. Stupidaggini, come l’idea balzana che un’intervista non vada fatta perché la gente rischia di essere influenzata. E’ una cosa veramente fuori dal mondo. Pensate sul serio che uno guarda l’intervista di Brindisi a Lavrov e diventa filo russo? Mi viene da ridere”. E’ il potere della televisione: la persuasione occulta. No? “Ma dai. Sai cos’è? E’ la debolezza della politica. Questi credono veramente che ciò che accade in televisione possa portargli vantaggi o svantaggi. Cosa assolutamente non vera, visto che da circa trent’anni il partito che vince le elezioni occupa la televisione e sistematicamente poi perde le elezioni.  Però loro sono convinti che la televisioni orienti. Quindi ci entrano a piedi giunti. Intossicano. Con risultati spesso comici, ovviamente. In escalation, come si dice di questi tempi”. Ovvero? “Beh,  una volta per impaurire un conduttore o un direttore arrivava la Vigilanza, ora arriva con la cavalleria del Copasir... la prossima volta si aggiungerà pure la corte marziale. Battute a parte, quell’intervista poteva anche essere fatta male, ma conta quello che è venuto fuori. Le affermazioni di Lavrov sono state le più importanti fatte da lui sin dall’inizio della guerra.   Il riverbero di quell’intervista non è banale. Quando il ministro degli esteri di un paese in guerra parla, sa benissimo cosa dire. E Lavrov ha sparato su Israele. Allora io non mi chiedo dove è stata pronunciata una frase storica, ma mi accorgo e ragiono sul fatto che sia stata pronunciata. Mentre qua, ripeto, tutti guardano il dito e non la Luna”.

 

Feticismo dell’epifenomeno. “Ecco, appunto. Con il Copasir”. Che intanto  vuole anche scoprire  se gli ospiti che in tv “amplificano la propaganda del Cremlino” si muovano come rappresentanti della stampa estera o come funzionari del governo di Putin. In pratica vogliono sapere, par di capire, se per esempio la signora Nadana Fridrikhson, ospite  di Bianca Berlinguer, è  una putiniana. Non basta ascoltarla per capirlo? “Vogliono scoprire l’acqua calda. E vogliono occuparsi di una questione editoriale. Cosa che inizia a essere non solo ridicola,   ma forse pure un po’ inquietante. Chi decide chi può parlare e come? Lo fanno loro? Guarda, lo dico a scanso di equivoci: le mie idee sulla guerra sono molto chiare. Per me non esiste una specie di orrida par condicio tra Russia e Ucraina, del genere ‘Putin ha fatto bene ad attaccare perché era provocato’. E per me, chi oggi dice che ‘il problema è la guerra e non Putin’, è come se avesse detto ai tempi delle Br o degli attentati di mafia che ‘il problema sono le bombe e non i terroristi’. Ma detto questo,  l’Italia è un paese democratico. C’è la libertà di stampa. Stiamo parlando del Comitato per la sicurezza della Repubblica di un paese    in cui l’indipendenza dell’informazione è tutelata costituzionalmente. Non siamo mica in Russia. E vogliono stabilire loro chi è un giornalista e chi no? Mettiamola così... Le forze politiche gentilmente decidano se vogliono essere terze rispetto all’informazione e rispetto a ciò che passa nei concessionari di pubblico servizio. Mollino la presa su tutte le nomine che fanno, lascino perdere le richieste, le pressioni, le pretese e poi comincino a parlare liberamente di informazione. Se vogliono. Non è che un giorno si scandalizzano perché gli fa comodo,  e poi mettono uno loro a dirigere il telegiornale. E su, dai”. Sepolcri imbiancati? “Se in Italia c’è un problema di filoputinismo, lo ripeto,  questo sta tutto dentro al Parlamento. Ma dai. Basta.  Di che stiamo parlando?  Ma abbiamo presente cosa è stata la Russia per il principale partito della sinistra italiana? Per Berlusconi? Per Salvini? Per Conte?  Il Copasir indaghi su se stesso. Io, in trasmissione, in sessantanove giorni di guerra, ho fatto ascoltare quattro volte la voce di Vladimir Solovev, il ventriloquo di Putin. Il conduttore televisivo voce del governo.  E l’ho fatto sentire pensando anche che la Russia – e ci dovremmo riflettere – è il paese che usa di più il talk show. Come l’Italia. Chi dice che esiste il pensiero unico ha ragione, c’è un posto dove esiste: si chiama Russia”.  
  
    
Tuttavia un problema forse c’è a prescindere dalle convulsioni tardo sovietiche del Parlamento  che, malato di talk-show, vuole regolarli a modo suo. Un problema editoriale:  il baraccone televisivo appare in effetti, e senza dubbio, animato da strane figure appartenenti alla commedia. Sociologi posseduti, filosofe invasate, mattoidi, urlatori, e in effetti anche tanti ammiratori di Putin.  “Il talk è fatto così. E’ basato sulla contrapposizione di opinioni riguardo a un tema o a più temi. Se la conversazione riguarda il fatto che fuori è nuvoloso, chiami uno che dice sì in effetti ci sono le nuvole e un altro che dice che c’è il sole.   Mi pare chiaro quale sia il problema: se devi fare il talk devi contrapporre delle idee. E questo a volte può entrare in conflitto con le necessità informative”. Dunque confusione tra informazione e intrattenimento. “Che è una questione editoriale, ripeto. Non materia da Copasir. E comunque sia non critico chi organizza i talk, non sono un arbitro, sono un giocatore e non do giudizi. Posso dire che il talk non è il mio genere”. Come no? Bersaglio Mobile, la Maratona? “Le maratone sono una sorta di commedia dell’arte, certo. Ma facci caso: la maratona è al servizio di un avvenimento in corso di svolgimento. Non è la stessa cosa del talk. Provo a spiegarmi. Lì io uso tutti i registri, comprese le maschere,  per arrivare al racconto – se riesco –  pluridimensionale di un fatto.   Il campo principale però è sempre la cosa che succede, il fatto:  il Quirinale, le elezioni politiche. Nel talk invece il campo principale è lo studio. Il giornalista ospite della maratona sa che sta accompagnando l’evento. Ma non è lui stesso l’evento. Al contrario, nel talk, costruito sullo scontro delle idee,  fatalmente  sono le idee contrapposte a essere l’evento.  Creano la notizia. Tant’è che poi spesso si parla di più di una cosa successa nello studio di quanto non si parli di un fatto importantissimo successo fuori nella realtà”. Eppure Mentana, sulla guerra, non fa la maratona. Niente commedia dell’arte. C’è lui, da solo con un solo esperto in studio. “Penso solo questo”, risponde Mentana, “penso che la storia, quella maiuscola,  abbia ripreso a girare. Siamo di fronte a un tornante rispetto al quale bisogna avere background.  Quello che tento di fare è adattare il racconto all’importanza dei fatti. Restando sul campo dei fatti. Ci sono i grandi protagonisti, Putin, Zelensky, Biden, e poi ci sono i comprimari o i deuteragonisti della nostra commedia. Ci sono le macchiette, c’è Petrocelli... Ma evito il macchiettismo, il noi che parliamo di noi mentre fuori avviene un cambiamento epocale”.

 

Ecco, torniamo allora all’espressione che Mentana usava prima: feticismo dell’epifenomeno. Il personaggio conta più del fatto. Vedi il dito e non la Luna. “Beh, sì. Però bisogna relativizzare e non demonizzare. E soprattutto non credere che serva il Copasir per regolare quello che magari a te non piace del talk. Questa storia dell’intreccio perverso tra spettacolo e informazione non mi convince. E’ letteralmente quello che si dice quando in televisione va in onda un’immagine violenta, impressionante, che sia un film o una vicenda di cronaca. In questi casi si dice, con cipiglio:   ‘Ci sono persone più fragili di noi’. Ma la gente non è stupida. O se lo è, è stupida a prescindere da quello che guarda. La commistione e la confusione dei generi è una cosa che ci sta tutta in un paese democratico. E’ normale. Quello che secondo me non ci sta, invece, è l’idea (fasulla) che lo spettatore sia una sorta di minus habens. Questo è francamente antidemocratico. Noi sappiamo dai social che l’umanità è composta di gironi, anche  infernali, ma la libertà è questo. L’antidoto non è il Copasir o la Vigilanza con i suoi decaloghi su come va fatto il lavoro di giornalista. L’antidoto è il telecomando: non lo guardare. Cambia canale”. Insomma, dice Mentana: in Russia interviene il Copasir, in Italia dovrebbe intervenire la libera scelta del cittadino-spettatore. E chissà che prima o poi i  telespettatori non seppelliscano davvero  di noia i mostri televisivi e chi li ha creati.

 

Metodo liberal-democratico? “Ma certo. Guardate che se nascono fenomeni che diventano figure importanti, o figure da baraccone, significa che c’è il vuoto o una richiesta a riguardo. Durante la pandemia, superata la fase dell’allineamento dettato dalla paura per il bollettino delle 18,  si aprì uno spazio di dubbio. Di gente che diceva: siamo sicuri? Ecco. Ci sono figure che fanno da interpreti per il desiderio inespresso che sta nel mercato delle idee o degli umori. In tutti i sondaggi più recenti risulta che molti italiani  sono contrari all’invio di armi in Ucraina perché sono conviti che ‘pace’ significhi essere lasciati in pace. Questa roba esiste. Dico di più. Se  Orsini è fatto oggetto di più articoli di giornale di quanti non ne siano dedicati al sindaco di Kyiv Klitschko o all’autocrate bielorusso Lukashenka vuol dire che c’è anche  un pubblico  che ha interesse per ‘l’epifenomeno’ da spettacolo più che per il ‘fenomeno’ enorme che è la guerra. Non ci piace, va bene. Ma non è libertà anche questa?  E soprattutto, se ne deve occupare sul serio il Copasir? Un ultima cosa vorrei dire. E ritorno all’intervista del ministro degli esteri russo”. Prego. “Alla fine tutti i protagonisti della commedia italiana, di fronte a Lavrov sono dilettanti. Di fronte all’idea che  ‘anche Hiltler era ebreo’  tutto sparisce. Impallidisce. Ecco. Non era forse importante venirlo a sapere, ascoltarlo dalla viva voce del Cremlino?”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.