Interviene il conduttore

“Lavrov in tv? Ecco perché ho intervistato il ministro di Putin”. Parla Giuseppe Brindisi

Salvatore Merlo

Dopo le polemiche per l'intervista al ministro degli esteri russo: “Ho fatto venire fuori l’anima nera del Cremlino. Annuire non significa approvare”, ci dice il conduttore di Zona Bianca

“Ma che dovevo fare, secondo voi? Dovevo fargli le corna davanti alla telecamera? Dovevo insultarlo? Io gli ho fatto delle domande, belle o brutte che fossero, e ho avuto delle risposte che oggi sono sul New York Times, sulla Bbc, la Cnn e il Washington Post. Risposte  che ci hanno fatto sapere qualcosa in più della macelleria di Putin in Ucraina”. E Giuseppe Brindisi, il conduttore di “Zona Bianca”, la trasmissione di Rete 4, si esprime con calma malgrado la tempesta. La sua intervista al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, andata in onda domenica sera, ha provocato reazioni in mezzo mondo. Compresa una crisi nei rapporti tra Russia e Israele. “L’uso che Lavrov ha fatto dell’armamentario antisemita nel corso dell’intervista è un fatto enorme ed evidentemente politico”, dice Brindisi. “E’ stata la dimostrazione che al Cremlino c’è un antisemitismo radicato”. Eppure Brindisi è stato criticato ieri, in Italia. Moltissimo. Persino da Enrico Letta: propaganda filorussa. “Trovo che queste polemiche siano stupidissime. Penso infatti che sia più interessante ascoltare i russi, specie quando sono così importanti come Lavrov, che imbastire ore di trasmissioni urlate e confuse con i personaggi della commedia dell’arte italiana. Bisogna farne di più di queste interviste, non di meno. E sfido chiunque a dire che sono putiniano. Io sto con l’Ucraina da sempre. Ma una cosa è la militanza, un’altra il giornalismo”. 


Enrico Mentana manda in onda gli interventi di Vladimir Solovev, che è il ventriloquo giornalistico di Putin. E guardando Mentana noi ci facciamo un’idea di cosa pensano i russi, di come ragionano o sragionano, di quali minacce fanno, di che tipo di propaganda ammanniscono alla loro opinione pubblica. “E infatti Mentana fa benissimo”, risponde Giuseppe Brindisi. “Quante più notizie, interviste, prese di posizione riesci ad avere anche da quello che tu consideri un nemico, meglio è. Anche in una fase convulsa, torbida e feroce come quella che stiamo vivendo adesso. Con l’intervista dell’altra sera abbiamo sentito il ministro degli Esteri russo che esprimeva una tesi delirante che è alla base della scombiccherata retorica antisemita dai tempi del processo di Norimberga, ovvero che Hitler era ebreo e che i peggiori antisemiti sono proprio gli ebrei. Era interessante o no? Ci serviva o no? Saperlo è importante o no?”. 


Certo che sì. Però dicono che nell’intervista mancava il contraddittorio. A proposito: cos’è il contraddittorio? “Non so, forse chiamare uno del Pd... Guardi, scherzi a parte, io non avevo di fronte Orsini ma Lavrov: il numero due di Putin.  Gli dovevo fare le linguacce? Francamente non capisco. Avevo problemi talvolta a interromperlo perché la traduzione s’inseriva male. La traduzione toglie immediatezza, è ovvio. Ma tutte le sue risposte più dense erano dovute a una mia domanda. Sono io che gli dico: ‘Volete denazificare un paese il cui presidente è ebreo’. Ed è a quel punto che lui dice che lì in Ucraina sono tutti nazisti e manifesta altri deliri tipo che gli ebrei sarebbero i peggiori nemici degli ebrei”. Va bene. Ma Letta, il segretario del Pd, su Twitter ha criticato il saluto finale a Lavrov: “Buon lavoro”. E qui Brindisi si mette a ridere. “Sì gliel’ho detto, ma la frase è più lunga del solo ‘buon lavoro’. Manca il resto. Io gli ho detto buon lavoro e ho espresso l’auspicio che si lavorasse per la pace. Cambia il senso, direi?”. 


Altri dicono che Brindisi annuiva troppo alle parole di Lavrov. “Annuire non significa approvare, avevo davanti il ministro degli Esteri russo che mi parlava. E se proprio lo volete sapere provavo disagio per certe cose che sentivo, come tutti credo. E penso di avere fatto persino delle smorfie, inconsapevoli. Abbassavo la testa. Anche se non volevo, perché non mi piace la recitazione. Ma dai...”. Che regole d’ingaggio avevate con Lavrov? “Nessuna domanda concordata, lui sapeva però gli argomenti che avremmo trattato”. Richieste speciali? “Solo una: nessun taglio. E basta. Ovviamente c’erano delle difficoltà. Lavrov andava lungo nelle risposte, e la traduzione diventava talvolta un impaccio nel dialogo. Però l’ho anche interrotto. Non è vero che non l’ho fatto. Su Bucha l’ho fermato, ricordandogli che lui negava il massacro mentre la Cnn aveva mostrato i  video dei russi che giravano tra i cadaveri ben prima della liberazione della città. Io penso questo: in un’intervista non è interessante se Brindisi tira fuori le sue idee, ma se Brindisi tira fuori quelle di Lavrov”. 


C’è pure chi dice che Lavrov sarebbe venuto a Mediaset perché Putin è amico di Berlusconi, e si sentiva a casa. “Ma figurati se c’entra qualcosa Berlusconi. Così diventa davvero un polverone. Si mettono insieme le mele con le pere. E’ grottesco. La tempesta per le parole di Lavrov ci sta tutta. Perché lui ha detto delle assurdità, e le ha dette scientificamente. Scientemente. Detto ciò, invece, la polemica sull’intervista, lo ripeto, è veramente scema. Il compito di un giornalista, secondo me, è fare venire fuori il maggior numero di notizie possibili. E credo di esserci riuscito. Io non devo dichiarare guerra alla Russia, non mi devo mettere l’elmetto, e nemmeno devo dimostrare di essere solidale con l’Ucraina perché soltanto chi non guarda la mia trasmissione può pensarlo. Ho fatto un’intervista. Punto. Giornalismo. Avrei potuto cercare lo scontro? Sì. Certo. Avrei anche potuto far alzare Lavrov dalla sedia e fargli lasciare lo studio. Avrei fatto spettacolo, giornalismo militante. Ma io volevo fare giornalismo, e basta. Volevo sapere qualcosa di più del pensiero di Putin”. E cos’è venuto fuori? “E’ venuta fuori l’anima nera del Cremlino”.

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.