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Magnifici insulti

Modello Shakespeare: “Succession”, una serie tv che lascia indietro di molte lunghezze la concorrenza

Mariarosa Mancuso

Molti sono i motivi per guardare “Succession”. Ogni tanto bisogna disintossicarsi dalle produzioni Netflix, che con tutto il rispetto hanno più l’aria da grande magazzino che da boutique. Hbo era partita via cavo con lo slogan “It’s not Tv. It’s Hbo”, a fine maggio lancerà negli Stati Uniti la sua piattaforma streaming. Dai “Soprano” in poi (anno 1999), ha puntato più sull’intelligenza che sull’algoritmo. Da qui “Succession”,che lascia indietro di molte lunghezze la concorrenza. Non c’è gara in materia di sceneggiatura, casting, recitazione, regia. E’ una storia contemporanea con un occhio ai classici: il patriarca Logan Roy, scozzese di origine, governa con pugno di ferro (il guanto di velluto si è perso) il suo impero: televisioni , giornali, crociere, parchi divertimenti. Ha passato un momentaccio, parlando di salute, e come Re Lear deve scegliere chi, tra i tre figli maschi e la figlia femmina, dovrà prendere il comando.

  

Da qui due stagioni di tradimenti, scalate, doppi giochi aziendali e personali (si possono ricuperare, se sfuggiti, su Sky on demand). La terza dovrebbe essere già scritta – gli sceneggiatori possono lavorare in remoto – e sarà messa in produzione quando il virus bacchettone lo concederà. Odia infatti, e impedisce, cinema, cene al ristorante, chiacchiere: provate a essere brillanti con la mascherina in faccia (new entry: i parrucchieri ne forniscono di cartacee, autoadesive e poetiche: “Ogni momento è un nuovo inizio” di T. S. Eliot).

 

Oltre a certe asprezze della vicenda (il capitalismo non è un pranzo di gala, pur essendo l’unico che sfama un sacco di gente oltre agli invitati) l’algoritmo Netflix avrebbe piallato i magnifici insulti scambiati tra i membri della famiglia Roy. Pare che siano in parte improvvisati sul set, ma si fatica a crederlo. Gira su internet qualche lista, purtroppo quasi sempre sprovvista dell’occasione che ha reso l’uomo – o la donna – feroce verso verso i parenti stretti. Al figlio drogato: “Mi sembri pronto per la copertina del mensile ‘Maschilità tossica’”. Una puzza nella casa nuova (gli operai per vendicarsi di qualcosa hanno incastrato procioni nella cappa del camino) fa dire a Roy: “Puzza come un formaggiaio morto mentre si scopava una forma di camembert”.

 

Lo showrunner Jesse Armstrong, assieme ai produttori Adam McKay e Will Ferrell, ha imparato da Shakespeare, il più bravo di tutti anche in questa delicata materia (se almeno la studiassero, gli spernacchiatori-troll ne ricaverebbero un repertorio più variato). Come libro di testo, consigliamo – tra i molti – lo “Shakespeare Insults Generator”, un libro che consente di combinare 150.000 mila frasi da levare la pelle. Una volta c’era anche l’edizione con le paroline scritte sui magneti da frigo, cosicché ogni mattina si poteva combinare un insulto nuovo di zecca (sono sempre i libri più divertenti che se ne vanno, anche da Amazon; resta però la scatola di cerotti ornati di maleparole). Tra quelli già confezionati, “Desidero sopra ogni cosa diventare per te un perfetto estraneo” si porta su tutto.

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