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Il contagio di TikTok. Cosa succederebbe in caso di ban, ora che tutte le app somigliano a quella cinese

Pietro Minto

Il gruppo che comprende Google e YouTube, Alphabet, sta combattendo su due fronti diversi rischiando per la prima volta di vedersela con nemici più giovani

Alphabet, il gruppo che comprende Google e YouTube, è attraversato da una crisi esistenziale che sembra rispecchiare quella in corso in tutto il mondo digitale. Oltre alla crescita di TikTok il mercato delle piattaforme digitali deve vedersela con la diffusione delle intelligenze artificiali, in grado (potenzialmente) di dare risposte e sostituire i motori di ricerca. Alphabet sta quindi combattendo su due fronti diversi rischiando per la prima volta di vedersela con nemici più forti – o quanto meno più giovani. Il tutto avviene, forse non a caso, nell’anno del venticinquesimo compleanno di Google, che per una realtà di internet può essere considerata una crisi di mezz’età.

Questa settimana il Financial Times ha rivelato che alcuni dipendenti di YouTube si sono detti preoccupati da Shorts, il formato di video verticali della piattaforma, pensato per contrastare l’ascesa di TikTok. Il piano era: visto che TikTok non paga molto i suoi creator, YouTube avrebbe esteso il suo remunerativo programma per chi pubblica video online anche agli Shorts, rubando talenti alla concorrenza. C’è un problema, però: gli Shorts rischiano  di mangiare YouTube, in particolare per quanto riguarda il consumo dei video più lunghi, quelli su cui da tempo il sito punta di più a livello pubblicitario. Le rivelazioni  colpiscono anche perché, negli ultimi giorni, TikTok sembra voler inseguire YouTube allungando la lunghezza massima dei video che si possono caricare sull’app, cosa che anche Instagram sta pensando di fare con i suoi Reels.

Il risultato è forse già evidente da tempo a chi utilizza questi servizi: tutte le app si somigliano. O meglio, tutte somigliano a TikTok. L’app cinese è riuscita infatti a imporre un formato e uno stile preciso, costringendo gli altri – giganti compresi – a inseguire e copiare. Una grande convergenza che ha come riferimento l’app di ByteDance e sembra colpire in particolare YouTube e Google. Già, Google, il grande antico del web, oggi alle prese con i dolorosi compromessi resi necessari dalla diffusione di IA come ChatGPT, che promettono di instaurare un rapporto diverso e più diretto con gli utenti, dando risposte complete aggirando la necessità della ricerca. Uno scenario simile mina alle fondamenta il modello di business che ha fatto la fortuna di Google. E YouTube. Pur sapendolo, l’azienda è comunque costretta a puntare anche in questo settore, sperando di affermarsi con le proprie IA come ha saputo fare con il resto del web. 

Questa grande convergenza deve infine vedersela con la politica, che potrebbe prima o poi decidere di regolarizzare il settore nuovo e selvaggio delle IA; allo stesso tempo, il fatto che i social siano così propensi a copiare TikTok non toglie il fatto che un pezzo di Congresso statunitense sta ancora pensando come (e se) mettere al bando l’app cinese. L’ultima volta che il governo americano ci ha provato sul serio il presidente era Trump e sembrava che ByteDance fosse pronta a vendere TikTok a Microsoft. Sono passati tre anni da allora e il social cinese non solo ha continuato a crescere ma è diventato lo standard de facto: un nuovo tentativo di bando  non sarebbe solo più costoso del primo ma avrebbe forse conseguenze esplosive per il settore. Se un paese provasse a rendere illegale il social a cui tutti tendono e che tutti copiano, cosa succederebbe? Difficile prevederlo, e forse anche per questo TikTok continuerà a fare da spauracchio per un pezzo di politica americana (e anche Ue), senza mai arrivare al bando. Ma tutto può succedere, specie in un momento di cambiamento così profondo da mettere in difficoltà persino Google.

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