Joe Gebbia durante una presentazione a Los Angeles nel 2016 (Getty Images) 

Gattopardi hi-tech

Joe Gebbia, fondatore di AirBnb, è l'ultimo dei baby pensionati della Silicon Valley

Michele Masneri

Si ritira a quarant'anni l'uomo che gonfiando un materasso ad aria ha rivoluzionato il settore del turismo. Dalla California alla Sicilia: quel viaggio nel palermitano in cerca delle radici dello zio d'America di Mezzojuso

"Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene”. Nel variopinto zoo dei sommovimenti sociali, Giuseppe Tomasi di Lampedusa chissà che posto avrebbe assegnato ai giovani magnati della Silicon Valley: dove è in corso un clamoroso ricambio di classe dirigente. L’ultimo ad andarsene è Joe Gebbia, quarantenne, uno dei tre fondatori di AirBnb, che il mese scorso ha detto che si dimetterà e rimarrà solo “consulente esterno”.

 

Per fare cosa, non si sa: pare che aspetti un figlio (ma non si sa da chi). Gli interessi comunque non gli mancano: è architetto, con una sua linea di design, è molto preso dalla beneficenza, dal fare documentari, dalla palestra, ha detto che si dedicherà ad altri progetti. Ha pure (maledetto) una gran massa di capelli sorta dal nulla negli ultimi anni, segno che quelli che erano i “master of the universe” solo cinque anni fa, stempiati cavalieri di ventura che hanno reinventato il mondo, adesso sono dei signori di mezza età (secondo gli standard americani, non quelli italiani dove fino a 60 sei adolescente) ricchissimi e irsuti che forse si vogliono solo godere la vita. 

 

E tra le bizze di Elon Musk (anche lui ormai capellone, e ormai unico “founder” su piazza), e le dimissioni degli altri, è chiaro che siamo di fronte a un generale ricambio sociale, e di sensibilità. Solo cinque anni fa, appunto, si aspirava a un Mark Zuckerberg alla Casa Bianca, Travis Kalanick il bullo fondatore di Uber progettava le auto volanti, il mondo sembrava salvato dai ragazzini siliconvallici. I fondatori di AirBnb erano visti come divinità e agivano come divinità – nel 2017 si fu invitati a un loro press tour a Los Angeles e a un certo punto c’era una tizia che cantava solo per noi, in un teatrino. Pensammo, che brava, sembra proprio Lady Gaga. Era Lady Gaga.

 

Poi qualcosa è cambiato, è arrivato un clamoroso backlash, l’economia della sorveglianza, il prodotto sei tu, il capitalismo dei dati, i ragazzini nel frattempo sono cresciuti e oggi, miliardari, giustamente vanno in baby pensione. Nelle ultime settimane si sono dimessi Gebbia, e poi i ceo di Pinterest e Instacart, mentre Uber da tempo ha sostituito l’impresentabile Kalanick con un amministratore più urbano, e l’altro fenomeno, Adam Neumann di WeWork, il coworking della gente che piace,  è fallito e assurto a macchietta da fiction. E poi Sergey Brin e Larry Page, i fondatori di Google che da due anni sono passati a vita privata. Insomma, al contrario che nelle liste del Pd, qui i vecchi si fanno da parte, solo che i giovani per sostituirli non si trovano.

 

La stagione dei ragazzini che passavano “overnight” dal sottoscala al villone, con feste e festini, sempre in bilico tra “genio” e “sòla”, pare definitivamente alle spalle. Oggi ci sono onesti amministratori più impegnati a gestire le problematiche coi governi e i cittadini che li odiano più che “visionari”, come venivano chiamati ai tempi. Le nuove startup di rango invece latitano. Robinhood, la app per giocare in Borsa, che sembrava la nuova “cosa”, ha appena annunciato mega licenziamenti. 

 

Nel frattempo il mercato è cambiato, ci sono meno soldi, i tassi sono saliti, tutti sono più guardinghi. Per tornare a Gebbia, ha sempre rappresentato il volto buono della Silicon Valley, buono anche nei confronti dell’altro fondatore più roccioso Brian Chesky. Faccia da bravo ragazzo, oltre ai capelli, ha studiato alla Rhode Island School of Design, e poi la celebre intuizione quindici anni fa di affittare un materasso gonfiabile per contrastare la penuria di alloggi in occasione di una fiera a San Francisco (originariamente l’azienda si chiamava Air Bed and Breakfast).

 

Gli inizi furono come si vuole pionieristici, finanziati accendendo pazzamente decine di carte di credito e soprattutto lanciando una strampalata produzione di cereali con la faccia di Obama e McCain, oggi da collezione; poi la mania dei cereali anzi “granola” diventerà simbolo stesso della Silicon Valley, presente in ogni ufficio anzi open space, cosparso di distributori di corn flakes, a simboleggiare la gioventù di quella generazione di capitalisti bambini.

 

Poi l’impero, la fama mondiale, l’influenza globale dell’affittacamere diffuso: l’estetica delle foto sovresposte che fanno sembrare il monolocale angusto a Gorla un ampio loft losangelino invaso di luce naturale; anche l’impatto su paesi di gran possessori di case come il nostro, dove tutti prima o poi ci siamo affittati casa di nonna su Airbnb (meglio di un Pnrr). E poi pure le accuse, devastare le città, ognuno di noi ha un Airbnb nel palazzo da odiare, con quegli inquilini che sbagliano sempre la differenziata. Adesso Gebbia lascia tutto questo, ma non dovremo preoccuparci per lui: ha una fortuna di oltre 7 miliardi di dollari, ed è solo quarantenne, qualcuno dice che si sta per sposare, ma lui è molto riservato.

 

Tiene molto alla famiglia, che è di origine italiana: precisamente di Mezzojuso, paese sulle Madonie dove lo si accompagnò in un suo viaggio esiziale alla ricerca delle origini. Era risalito al suo ceppo siciliano grazie a complicate ricerche delle società di analisi del Dna che al tempo spopolavano. Arrivati lì, con volo di linea Alitalia su Palermo, perché Gebbia è assai parco, viaggia solo commerciale e dorme in AirBnb (ma allora cosa si è miliardari a fare?) e poi defatigante salita in van, lui era felice del suo viaggio a Mezzojuso, scortato solo da un’assistente asiatica grintosa. Tentarono di vendergli qualunque cosa, a Mezzojuso, in molti si riscoprirono Gebbia, parenti e affini, scoprimmo pure una piazzetta Gebbia forse antica o forse lo sarebbe diventata presto.

 

Ma lui – timido siliconvallico alle prese con gli animal spirit siciliani – quella volta era sorpreso e commosso. Finì ovviamente a cannoli in una pasticceria da sogno e urlo, la sua assistente asiatica che non aveva mai assaggiato i cannoli finalmente sorrise, la popolazione era in festa, uno zio d’America anzi di California non s’era mai visto. Lui amò tutto, riamato, cannoli e calore e pure abusi edilizi. Pareva l’arrivo del principe di Salina a Donnafugata, polvere compresa. Chi scrive si sentì un po’ padre Pirrone (dei poveri), interprete e accompagnatore tra due mondi. Ma lui, Gebbia, pur dormendo a Palermo nell’ex palazzo Lampedusa a via Lampedusa trasformato in AirBnb, non aveva mai sentito nominare “The Leopard”. Né il film né il libro, dunque nuovamente stupore bambinesco-siliconvallico, mentre l’assistente asiatica prendeva immediatamente nota.

 

Per carità di patria gli si era tenuto nascosto, all’americano, che a Mezzojuso c’era tutta una questione di infiltrazioni mafiose, e di certe sorelle antimafia, le sorelle Napoli, minacciate e in lotta col comune, ma qualche mese dopo per scherzo del destino a Mezzojuso verrà eletto assessore alla cultura un ex generale dei Carabinieri di nome Nicolò Gebbia, forse parente, appassionato di gialli, che disse che le sorelle erano mafiose a loro volta. Poi la giunta cadrà, dopo varie puntate di Giletti che si buttò sulla faccenda: ma qui siamo decisamente più in Italia che in California, e più in Sciascia che in Lampedusa, vabbè.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).