(foto Epa)

il camaleonte meta

Sandberg se ne va, e ora l'impero di Zuckerberg è nelle mani di Nick Clegg

Pietro Minto

L'addio della chief operating officer apre le porte a un ruolo più centrale per l'ex leader dei Lib-dem. Che adesso dovrà gestire le partite più urgenti per il colosso di Menlo Park

Sheryl Sandberg è stata l’ombra di Mark Zuckerberg dal 2008 a oggi, ma anche l’autrice di “Facciamoci avanti” (Lean In), opera in bilico tra il femminismo corporate e il saggio motivazionale, ora ha deciso di lasciare la sua posizione di chief operating officer di Facebook, gigante che nel frattempo ha un nuovo nome, Meta. Quattordici anni che hanno sconvolto il mondo ma anche la vita di Sandberg, che ha attraversato piuttosto pubblicamente il lutto per la perdita del marito Dave Goldberg nel 2015, seguito dalla vittoria di Trump l’anno successivo, evento che aprì un vaso di pandora di scandali, leak e inchieste governative legate al gigante.

Si potrebbe dire che con la sua uscita Facebook ha completato la trasformazione in Meta, un impero da tre miliardi di utenti i cui interessi sono ormai – per usare un termine quanto mai trito – geopolitici. E se Sandberg è stata la vice-Zuckerberg per le prime fasi dell’azienda, ecco che oggi quello stesso ruolo è ricoperto da Nick Clegg, “il ministro degli Esteri di Facebook”, ex politico britannico, già leader dei lib-dem e viceprimo ministro ai tempi di David Cameron. 

Una vita da ex che lo ha reso perfetto per il ruolo, iniziato nell’ottobre 2018, di responsabile delle comunicazioni aziendali, fino alla promozione dello scorso febbraio alla carica di presidente degli Affari globali, per cui ora siede alla destra del fondatore nelle situazioni più delicate. Che sono parecchie, di questi tempi. Negli ultimi due anni, Meta ha dovuto affrontare, nell’ordine e citando fior da fiore: la pandemia, la furiosa campagna elettorale del 2020, l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e la conseguente espulsione di Donald Trump dalle piattaforme, il caso “Facebook Files”, la guerra in Ucraina e la messa al bando dei servizi Meta dalla Russia. E poi, a seguire, il recente crollo in borsa del titolo Meta, mentre persino Instagram, un tempo faro di speranza per il gruppo, soffre la concorrenza di TikTok, che ha intenzione di seguire e imitare sempre più. A Zuckerberg serviva una persona capace, dotata di quella intelligenza sociale e politica, dove lui è più debole. 

Intanto, mentre Facebook soffriva dei problemi che la perseguitano sin dallo scandalo di Cambridge Analytica, Clegg aveva abbandonato la sua carriera politica dopo la pesante sconfitta elettorale dei Liberal Democrats nel 2015. Gli ultimi suoi impegni apertamente politici, in madre patria, sono stati in favore del “remain” nel referendum sulla Brexit, ma non è bastato. Zuckerberg e Clegg si somigliano, a ben vedere. Il primo è a capo di un impero che a qualcuno sembra in crisi, mentre il secondo ha lasciato un paese ancora ossessionato dal suo – sempre più lontano – passato imperiale. Per entrambi, poi, tutto è cambiato nel 2016 a causa dell’onda populista che dal Regno Unito all’America, da Brexit a Trump, ha rovesciato ogni prassi aprendo una fase di enorme instabilità politica.   

“Quando sono arrivato”, ha spiegato Clegg a Politico poco dopo essere approdato in Silicon Valley, “Facebook era costantemente sotto attacco. Se pensassi che fosse possibile starsene zitti, consiglierei di farlo. Ma non credo sia davvero possibile”. E quindi, che fare? La linea da seguire è quella che ha imparato, non senza inciampi, in politica: “Nel lungo periodo è meglio dire quello che si pensa, avere un punto di vista, essere chiari, anche se per questo non si viene apprezzati”.

Poche frasi sarebbero in grado di riassumere meglio la posizione di Facebook, che negli ultimi anni ha assunto un tono più diretto e sprezzante nei confronti della concorrenza e dei regulators. Eliminata dal campo la possibilità di stare simpatica al mondo, all’azienda non resta che difendere sé stessa, a ogni costo: lo si è visto alla fine del 2021, con la nascita di Meta e il lancio in pompa magna del metaverso, orizzonte tecnologico su cui il gruppo si gioca il futuro. 

Clegg tiene a precisare che “tutti hanno una parte nel metaverso” e “non ci sarà un metaverso di Meta così come oggi non esiste un internet di Microsoft o di Google”. Ma il peso dell’azienda è tale da attirare timori e attenzioni di media e politici, che sanno quanto Facebook, Messenger, Whatsapp e gli altri feudi di Meta siano ormai elementi cruciali, a livello sociale ed economico, per buona parte del mondo (specie nel Sud globale, dove Meta mostra al meglio le su ambizioni). 

Un impero simile aveva bisogno di un volto più rassicurante dell’algido sguardo di Zuckerberg: Nick Clegg è lì per questo, e ora non deve nemmeno più convivere con Sheryl Sandberg.

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