l'intervento alla Cbs

Facebook files: parla Frances Haugen, la pentita

Cecilia Sala

Dentro Facebook il male è strutturale, dice la whistleblower a "60 minutes", talk-show d'inchiesta della Cbs. La difesa di Nick Clegg è una replica perfetta: il social network riproduce solo ciò che di cattivo (o di buono) esiste nell'umanità

Forse Facebook sta attraversando il suo momento peggiore in diciassette anni di vita. A Menlo Park detestano parlare di se stessi in pubblico, nelle audizioni come con la stampa, e il fatto che il numero due Nick Clegg – vicepresidente responsabile degli affari istituzionali e della comunicazione a livello globale – domenica sia andato ospite in un programma della Cnn è già indicativo. Spetta a lui tutelare l’immagine dell’azienda, compito non semplice ultimamente (due mesi fa il presidente degli Stati Uniti ha detto che quelli di Facebook “stanno uccidendo la gente”) e domenica si prospettava una giornata particolarmente complicata. La sera sarebbe andata in onda sulla Cbs una puntata di “60 Minutes” con un ospite speciale. “Sean”, la gola profonda dentro l’azienda che ha reso possibile l’inchiesta del Wall Street Journal “Facebook Files”.

Il vero nome di “Sean” è Frances Haugen, una ingegnera informatica dell’Iowa con un master a Harvard. Si è dimessa a maggio dopo aver fatto parte del team contro la disinformazione che si occupava di misurare l’impatto dell’algoritmo sulle elezioni, di fake news e anche di controspionaggio. La tesi della whistleblower è semplice: Facebook è consapevole dei danni che causa e ha a disposizione gli strumenti per evitarli, ma “c’è un conflitto tra ciò che è giusto per l’interesse pubblico e ciò che funziona” e Facebook sceglie ciò che massimizza il profitto. Di per se non è illegale, ma l’ipotesi è che possa configurare una truffa ai danni degli investitori. Il motivo è che l’azienda quotata pubblicamente promette di comportarsi in un certo modo mentre – secondo Haugen – nei fatti fa l’opposto. Per questo lei ha già presentato una denuncia alla Securities and Exchange Commission, che ha un programma per casi di whistleblowing come il suo e funziona così: se grazie alla testimonianza e alla documentazione portata dall’ex dipendente si riesce a sanzionare l’azienda per almeno un milione di dollari, allora tra il 10 e il 30 per cento della somma va come premio all’ex dipendente.

Haugen a “60 Minutes” si è lamentata del fatto che le persone dedicate a occuparsi di tutelare la sicurezza degli utenti fossero poche e che non fosse un caso, ma una scelta deliberata per rendere inefficace il loro lavoro. Ha detto che se era stato fatto uno sforzo durante le elezioni presidenziali è cessato subito dopo il voto nonostante il clima fosse ancora arroventato. Il suo capo ha lasciato ai primi di dicembre e il suo team ha smesso di lavorare nel momento in cui ce n’era più bisogno, quando Donald Trump gridava ai brogli e nel mese precedente all’attacco del Campidoglio del 6 gennaio. Quello di domenica, però, è stato un match in due tempi. La difesa di Clegg non è meno interessante delle accuse di Haugen, non tanto nel merito ma perché rappresenta un cambio di strategia: basta giocare in difesa e basta chiedere scusa. La nuova linea del vice di Mark Zuckerberg, già vicepremier nel Regno Unito con David Cameron, è insistere sul fatto che il mondo non è un pranzo di gala ma un posto sgradevole in cui cattiverie e falsità sono ineliminabili. Che Facebook ospita un terzo della popolazione mondiale e nessuno può pretendere da una singola società di fare in modo che un terzo del mondo si comporti bene. Che non è colpa loro se esistono adolescenti insicuri e infelici ed ex presidenti pericolosi. Alla Cnn Clegg ha ripetuto che la piattaforma riproduce “ciò che c’è di buono, di cattivo e di orribile nell’umanità”, ma prova ad “amplificare il bene e mitigare il male”, anche se non possono eliminarlo. Il punto è proprio guardare dentro l’algoritmo e scoprire cosa amplifica davvero, consapevoli che non è immobile ed è già cambiato a seconda delle stagioni.

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