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scenari presenti e futuri

La corsa all'oro delle criptovalute

Pietro Minto

C’è una migrazione in corso dai social alla nebulosa crypto, settore molto vasto e vago, guidata dai big e da molti soldi

Prima Mark Zuckerberg con il battesimo di Meta, poi Jack Dorsey che lascia il timone di Twitter per dedicarsi a Square, la sua start up per i pagamenti mobile, subito ribattezzata Block in onore della blockchain. Il settore tecnologico, soprattutto social, sembra pronto a una migrazione di massa verso la nebulosa crypto, un settore vasto e vago, fatto di criptovalute ma anche di metaversi vari, Nft e altri neologismi che per qualche motivo valgono miliardi (al momento). Da tempo Dorsey sembrava annoiato dal vecchio mondo dei social, con le sue polemiche e scandali, e sempre più attratto dall’idea di futuro promessa dal crypto. La sua bio su Twitter, del resto, parla chiaro: “#Bitcoin”. Con la sua barba messianica e le maglie psichedeliche con cui si fa fotografare in giro, Dorsey sembra un personaggio a cavallo tra cultura hippie, culto del capitalismo e quello stesso spirito piratesco che lo ha spinto ad andarsene da Twitter. Se di corsa all’oro si tratta, del resto, l’importante è arrivare prima degli altri

Dietro a Block, c’è il progetto di una corporation votata al crypto, che va da Square a Cash App (due servizi per lo scambio di denaro che hanno implementato da tempo un sistema per criptovalute), ma anche Spiral, nata come Square Crypto e diventata in questi giorni il cuore pulsante del pivot di Dorsey verso questo nuovo mondo. Spiral ha presentato la scorsa settimana The Lightning Development Kit, con lo scopo di rendere questa tecnologia, ancora astrusa e lenta, facile ed economica: la democratizzazione delle criptovalute. Il video inizia con un pupazzo con le fattezze di @Jack che si allena in palestra mentre risponde a domande come: “Quando hai capito che c’era qualcosa di sbagliato nel nostro sistema finanziario?”. Tutte cose normali, da queste parti. 

Oltre all’hype ci sono anche i soldi. Tanti soldi. Valutare un business come quello crypto è difficile. Secondo alcune stime, la capitalizzazione di mercato di tutte le criptovalute sarebbe attorno ai tre trilioni di dollari in totale (con Bitcoin che ne rappresenta da solo più di un terzo): il pil italiano è fermo, per così dire, a 1,8 trilioni. Bolla o non bolla, poco importa, almeno agli occhi degli investitori, gli stessi Venture Capitalist che hanno fatto la storia della Silicon Valley donando milioni a realtà diventate giganti globali. In prima fila c’è la temibile Andreessen Horowitz (a16z), un fondo di investimenti che vanta asset in decine di aziende per un totale di 18 miliardi di dollari, e che quest’estate ha lanciato un fondo crypto da 2,2 miliardi di dollari. Il portfolio di a16z include, tra le altre, Facebook, Airbnb, Coinbase, Skype e Instagram. E’ un’azienda influente e studiatissima, questa sua decisione è sembrata a molti un sigillo d’approvazione definitiva: da corsa all’oro a nuovo ordine mondiale. 

Anche perché, nel frattempo, si è cominciato a parlare sempre più di Web3, ipotetica nuova versione del web che includerà tutti gli elementi del crypto, portandoci nel futuro. Fake news, algoritmi incriminati, presidenti degli Stati Uniti da bandire: i social avranno conquistato il mondo ma si sono rivelati anche una fonte inesauribile di inchieste, denunce, proteste e – non sia mai – interventi dell’Antitrust. Dopo anni passati in trincea, Zuckerberg è stato il primo gigante dell’era social ad annusare la fine di un’epoca, quella della crescita continua senza intoppi. Ora  il settore del crypto, con la sua crescita esponenziale e i suoi nerdoni trasformati in milionari, sembra un’isola felice, dove trasferirsi e ricominciare da capo. E perché non darsi l’obiettivo di costruire letteralmente il futuro? Chiamiamolo Metaverse. O Web3. L’importante è che suoni bene, sperando che in questo Klondike la corsa all’oro non finisca mai.

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