Foto Unsplash 

Sfide social

YouTube e TikTok si copiano e si rincorrono (il secondo va più forte)

Pietro Minto

L'app cinese ha superato negli Stati Uniti la storica piattaforma per video, acquisita da Google nel 2015, che ora prova a rinnovarsi per restare competitiva. Scenari e strategie della tecnologia post pandemica. 

Il sorpasso è avvenuto ai primi di settembre, quando TikTok ha superato YouTube per quanto riguarda il tempo passato sull’app. Un sorpasso che riguarda solo gli Stati Uniti (e gli utenti Android, a dire il vero), ma nonostante gli asterischi necessari rimane un momento importante nella ridefinizione dello scenario digitale post pandemico.

Nato nel 2005 e acquisito da Google l’anno successivo, YouTube è da sempre il sovrano incontrastato dei video online (in occidente). Il recente successo di TikTok, app di proprietà della cinese ByteDance, ha sconvolto le cose. Prima intaccando la supremazia di Instagram tra i più giovani e poi imponendo un nuovo formato video più breve, oltre che una nuova classe di “famosi”, i tiktoker, grazie a un algoritmo capace di proiettare sui telefoni di mezzo mondo qualsiasi loro video (si veda lo strepitoso successo della slapstick comedy di Khaby Lame). Il sorpasso non ha fatto che velocizzare un processo che era in corso da tempo, in cui YouTube è costretta a copiare TikTok, adeguandosi al nuovo corso, mentre TikTok sembra fare lo stesso, nonostante il vantaggio competitivo ottenuto. Così, ora YouTube ora punta sugli shorts, un formato di video breve e verticale che ricorda TikTok (e, per la proprietà commutativa, i reel di Instagram), e che YouTube sta spingendo in modo aggressivo.

 

Quanto a TikTok, ByteDance continua ad allungare il limite di lunghezza dei video nella piattaforma. Fino allo scorso luglio un TikTok poteva durare 60 secondi al massimo. A luglio il limite è salito a tre minuti. Ora è a cinque. La stessa app raccomanda agli utenti di caricare video più lunghi di un anno fa (21-34 secondi contro gli 11-17 del 2020). Come due alunni intenti a copiarsi a vicenda, TikTok e YouTube stanno cercando di livellare le differenze reciproche; facendolo, cambiano anche le loro piattaforme e il tipo di contenuto che ospitano. È però chiaro che sia YouTube a inseguire, arrivando a “copiare la strategia di crescita di TikTok pagando i professionisti che producono video originali”, come scrive il sito specializzato The Information. Lo scorso maggio il sito ha annunciato un piano da cento milioni di dollari con cui pagherà i creators che pubblicheranno sulla piattaforma. Il compenso a persona può arrivare ai diecimila dollari al mese; tra i più ricercati, ovviamente, ci sono proprio i tiktoker.

L’inseguimento prosegue, anche nella forma stessa di YouTube. La recente decisione di rimuovere il tasto “non mi piace” ha fatto molto discutere. Secondo l’azienda, il dislike finiva spesso per essere utilizzato come arma contro youtuber in ascesa, le cui opportunità di crescita venivano annichilite da degli attacchi coordinati. Sarà. Ma conoscendo la lentezza geologica con cui YouTube da sempre reagisce a problemi simili, c’è chi sostiene che dietro all’eliminazione del pollice verso ci sia ancora lo spettro del competitor cinese. Su TikTok, infatti, l’utente può reagire in un solo modo, con un cuoricino d’apprezzamento (se proprio vuole esprimere il proprio dissenso nei confronti di un video può segnalarlo). 

 

Una piattaforma verticale, mobile first, piena di creator giovani e sorridenti, dove tutti si divertono: l’idea degli shorts è quanto di più distante da YouTube e il suo marasma incontrollato di contenuti, regolati da un algoritmo di raccomandazione deludente – per usare un eufemismo – al confronto del cervellone di TikTok. Perché la sfida è soprattutto tecnologica: TikTok non è solo un posto dove caricare video (sempre meno) brevi; è un app con una sua grammatica precisa, fatta di reaction, duetti, risposte e stitch (il tagliare video altrui per inserirli nei propri). È proprio a quest’ultima funzionalità, ad esempio, che si deve il successo del citato Lame. 

Certo, strapagare i creators per portarli a casa propria può funzionare, almeno nel breve periodo; ma non è sufficiente a creare un ecosistema indipendente, dalle radici profonde, come quello di TikTok. Il rischio, insomma, è che con gli shorts YouTube stia realizzando un’altra copia del social cinese. E per quello c’erano già i reel di Instagram.

Di più su questi argomenti: