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Il “plastic free” è un'utopia ingenua, ma c'è un'alternativa più sostenibile

Eugenio Cau

Anziché eliminare la plastica, perché non la ricicliamo?

Milano. “Plastic free” è uno dei termini chiave del 2019. Lo pronunciano i politici e lo pronunciano gli influencer. Se ne parla quando appaiono sui media le foto tragiche degli animali marini messi in pericolo dai rifiuti in plastica, o quelle delle isole di bottigliette e altra spazzatura che galleggiano negli oceani, inquinando e deturpando. A Milano, nel cortile del Castello Sforzesco, il comune ha piantato cartelli illustrativi (sembrano di plastica, speriamo riciclata) che illustrano i vantaggi di un mondo “plastic free”. Il Vaticano ha annunciato a luglio di voler diventare il primo stato “plastic free”, l’Unione europea promuove (giuste) normative sulle cannucce di plastica e sulle bustine per la spesa e insomma, la plastica è un pericolo e un nemico. C’è un problema: un mondo “plastic free” non soltanto è un’utopia difficilmente realizzabile, costituirebbe anche un arretramento probabilmente inaccettabile delle condizioni di vita della società. Finché “plastic free” significa ridurre le confezioni della frutta fresca e i bicchierini da caffè usa-e-getta va tutto bene, anche perché il caffè è più buono nelle tazzine di ceramica. Ma quando per “plastic free” si intende un mondo senza plastica allora cominciano i problemi, perché significa minare i processi di industrie fondamentali come il farmaceutico, l’alimentare e altre. Le medicine è meglio ancora per un po’ continuare a confezionarle pastiglia per pastiglia, anche se questo significa produrre un po’ più plastica.

 

Anziché concentrarci sull’idea di eliminare la plastica dalle nostre vite, perché non cerchiamo di riciclarla? In fondo di plastica ne abbiamo già prodotta a milioni di tonnellate, ed è “un bel materiale, che virtualmente non ha mai un fine vita, e può essere riutilizzato un numero altissimo di volte, se gestito bene”, dice al Foglio Alessandro Trentini, fondatore e direttore tecnico di Idea Plast, una delle più grosse aziende in Italia che si occupano della produzione di oggetti e arredi in plastica riciclata. Trentini ha realizzato in plastica riciclata le cassette per la frutta dei supermercati Esselunga, le traversine per le linee ferroviarie ad alta velocità, parchi giochi per bambini in diversi comuni italiani e altro ancora. “Il concetto di ‘plastic free’ ha molto seguito dal punto di vista del marketing ma è utopistico e improponibile”, dice Trentini. “Sarebbe meglio concentrarsi sul gestire in maniera corretta la plastica e trovare il modo di conviverci in maniera sostenibile, pensando al fine vita di un prodotto. Trent’anni fa, quando ho cominciato a lavorare, tutti pensavano a produrre e nessuno si chiedeva cosa sarebbe successo con tutta quella plastica. Ancora adesso in parte è così”.

 

Nel 2016 in Italia sono stati prodotti 3,4 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica, e di questi il 37,2 per cento è finito nelle discariche, il 33,8 è stato usato per il recupero dell’energia e il 29 per cento è stato riciclato. Virtualmente tutta quella plastica si potrebbe riciclare, dice Trentini, ma perfino regioni virtuose come la Lombardia e l’Emilia Romagna, che riescono a differenziare oltre l’80 per cento dei loro rifiuti, dopo aver differenziato la plastica finiscono per buttarne buona parte nei termovalorizzatori, perché non ci sono progetti di riutilizzo. “Non c’è ancora un vero progetto su cosa fare di tutta questa plastica, e per esempio non ci sono incentivi per spingere l’industria manifatturiera all’utilizzo di plastica riciclata”, dice Trentini, che ovviamente ha un interesse di business a veder aumentare le percentuali di riciclo, ma per una volta l’interesse sembra allineato con il bene pubblico. L’industria del riciclo produce anche innovazione. Per ora gran parte della plastica riciclata deriva da materiale che viene rimacinato e ristampato, ma la ricerca sta lavorando su un riutilizzo a livello chimico e molecolare, che sarebbe capace di dare una seconda vita migliore al materiale.

 

Il “plastic free” è un’utopia impossibile da realizzare, che quando funzionerà sarà perché avremo trovato un materiale migliore della plastica. Nel frattempo, potremmo accontentarci di un futuro di plastica di seconda mano, sostenibile per davvero.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.