Il fondatore di Facebook ha cambiato il suo stile di leadership (Foto Imagoeconomica)

La guerra di Zuckerberg contro media e leak

Eugenio Cau

Dopo il New York Times, nuove inchieste e nuove crisi. I contrasti tra il fondatore di Facebook e i suoi dirigenti

Roma. Di questi tempi niente è più di moda nell’ambiente della tecnologia di un bell’articolo pieno di fonti e pettegolezzi che racconta le crisi interne a Facebook e la leadership dell’azienda che va sempre più a rotoli. L’ultimo del suo genere l’ha prodotto il Wall Street Journal, che ieri riportava in prima pagina che Mark Zuckerberg, fin da questa estate, ha deciso di cambiare il suo stile di leadership e ha adottato un nuovo mantra: “Siamo in guerra”. I più maligni hanno recuperato un vecchio articolo del 2007, in cui a usare la medesima locuzione era un altro ceo famoso: Richard Fuld di Lehman Brothers, un anno prima della più grande bancarotta della storia americana.

 

Malignità a parte, il Wsj racconta che Zuckerberg ha deciso di ribaltare le sorti discendenti della sua azienda (in termini di credibilità e fiducia del pubblico, non in termini di ricavi e profitti) con un atteggiamento più aggressivo e deciso, che lo ha messo in contrasto con una gran parte dei suoi dirigenti, compresi i fondatori di Instagram e di WhatsApp, che se ne sarebbero andati in polemica dopo che Zuck li ha attaccati. Soprattutto, il ceo di Facebook avrebbe incolpato il suo braccio destro, Sheryl Sandberg, per la cattiva gestione del caso Cambridge Analytica, con tanta foga che Sandberg, testata d’angolo della costruzione di Facebook negli ultimi dieci anni – e secondo molti vero segreto dietro al successo dell’azienda –, ha temuto per il suo posto.

 

Articoli come quello del Journal, in cui numerose “persone informate sui fatti” parlano con i giornalisti dei disastri interni all’azienda, sono una buona prova dell’ambientino di Facebook nei giorni post disastro-del-New-York-Times, dove il riferimento è all’articolo che la settimana scorsa ha rivelato le scorrettezze che Facebook praticava per controllare l’informazione, manipolare i politici, danneggiare la concorrenza. Gli investitori chiedono lo scalpo di Zuckerberg (che tuttavia è inamovibile), Zuckerberg negli ultimi mesi si è rivoltato contro Sandberg (anche se negli ultimi giorni le ha rinnovato la sua fiducia, almeno pubblicamente), e tutti se la prendono con i dirigenti sotto di loro.

  

Gli americani direbbero che l’ambiente lavorativo è “tossico”, e questo sta portando conseguenze immediate: i leak ai media si moltiplicano, ed Elliot Schrage, ex capo della comunicazione esterna di Facebook, ha detto che si aspetta che ci saranno altre inchieste giornalistiche dannose per l’azienda nel prossimo futuro (nel frattempo pare che Zuckerberg definisca gli articoli non favorevoli della stampa come “attacchi” contro Facebook, a riprova dell’ottima considerazione dei media del più grande editore del mondo); il morale dei dipendenti è ai minimi storici, e Facebook teme di non essere più una meta attrattiva per i maggiori talenti in circolazione; la reputazione del social network, più di ogni altra cosa, appare a tal punto compromessa che risulta difficile immaginare come potrebbe riprendersi.

 

Anche la politica americana, che finora aveva mantenuto un occhio di riguardo per una delle aziende più grandi del paese, sta cominciando a rivoltarsi. L’inchiesta del New York Times ha mostrato che Facebook ha manipolato deputati e senatori sia attraverso normali pratiche di lobby (che tuttavia funzionano meglio se rimangono segrete, i legislatori non amano veder sparati sulla stampa i modi in cui si lasciano influenzare dall’impresa) sia facendo passare messaggi non esattamente coerenti con la realtà.

 

In particolare il Partito democratico, che ha sempre pensato – spesso a torto – alla Silicon Valley come a un alleato implicito, ha cominciato a sentirsi tradito dopo essersi visto rappresentato come troppo permeabile alle influenze del social network. La sinistra del partito è andata all’attacco, chiedendo inchieste e nuove leggi contro i monopoli; i moderati sono stati messi in imbarazzo, come il leader dei senatori del Chuck Schumer, che il Nyt ha descritto come eccessivamente compromesso con Zuckerberg. 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.