Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg (Foto LaPresse)

“Ecco perché Facebook non è più responsabile di se stesso”. Il libro di Kirkpatrick

Luciana Grosso

"Zuckerberg è un bravo ragazzo, ma la sua creatura non dipende più da lui". Le rivelazioni del "biografo" del social network 

Mark non è cattivo. Anzi: è un bravo ragazzo. Ed è sincero quando dice che lui, con il suo sito, voleva rendere il mondo un posto migliore, in cui le relazioni tra le persone fossero più fitte, frequenti, facili. Un posto in cui, se i nostri amici abitano dall’altra parte del mondo, questo non influisce su quanto sappiamo della loro vita. Zuckeberg, con Facebook, voleva fare questo, e, almeno fino a un certo punto ci è riuscito. Solo che poi il gioco gli è sfuggito di mano, come all’Apprendista Stregone”. A raccontarlo, mescolando sincero affetto per un ragazzo di Harvard conosciuto una decina di anni fa e sincera preoccupazione per quello che ha combinato, è David Kirkpatrick. Studioso, giornalista, appassionato di tecnologia e internet, Kirkpatrick ha fondato la mediacompany Techonomy Media ed è considerato il “biografo di Facebook”. Nel 2010 ha scritto un bel libro che si chiama “The Facebook Effect” (in Italia “Facebook: la storia”, Hoepli).

 

Nelle sue pagine non si racconta solo la storia di come quattro ragazzi di Harvard abbiano messo su, praticamente per caso, un impero. Si racconta anche quali conseguenze abbia avuto la loro invenzione. “Oggi Facebook è completamente connesso a ogni aspetto delle nostre vite. E poco importa se tra le élite delle grandi città americane o europee sta passando di moda, perché la rivoluzione è compiuta. È stato il più grande strumento di disintermediazione delle persone, tra loro, e tra le persone e la politica. Nel 2008, per esempio, via Facebook fu possibile organizzare, per la prima, volta una manifestazione di piazza contro le Farc. Nessuno mai ci era riuscito prima. E nessuno ci sarebbe riuscito mai senza la forza virale e algoritmica di Facebook”.

 

Il problema della disintermediazione però è che è senza mediazione, struttura, scheletro. Può andare dove le pare. O, per paradosso, dove la fanno andare. “Il grande potere di Facebook, ossia quello di fare arrivare immediatamente un messaggio a chiunque nel mondo, è un frutto troppo ghiotto perché persone interessate solo al potere, non se ne vogliano appropriare. Se nel mondo ci sono persone disposte a uccidere, a fare la guerra, a mentire o a imbrogliare, per arrivare dove vogliono, quanto pensate costi loro costruire una fake news e farla girare? Quanto peso pensate dia, chi viola ogni giorno la legge, al regolamento di Facebook che dice di non creare falsi account?”. Poco, verosimilmente. “E per questo che ‘Facebook si è rotto’, come ha scritto Zuckerberg nel suo messaggio di Capodanno, e non è più il posto ospitale e divertente che era nato per essere. Perché è diventato così potente ed efficace da essere uno strumento ideale per chi vuole usarlo per il suo tornaconto”.

 

Il discorso, sia chiaro, vale per tutto, per la pubblicità, le vendite, i video virali, non solo per la politica. Ma è sulla politica che si va a parare. “La contaminazione tra la forza di Facebook e la tossicità di alcuni contenuti ha creato il cortocircuito che ha portato, in America, come in Europa e in Italia, alla vittoria dei populismi. Il fatto che la diffusione via Facebook di fake news e di propaganda creata ad arte dai troll russi abbia avuto un ruolo determinante nella elezione di Donald Trump o nella vittoria di Brexit o nel successo dei populisti nel mondo non è più nemmeno in discussione. È dato per assodato. Il tema oggi è come rimediare”.

 

E qui le cose si fanno serie. Perché a oggi, come sistemare le cose, non lo sa nessuno. Nemmeno il taumaturgo Zuckerberg che, seppure in ritardo, ha detto di volerci provare, ma che, sino ad ora, ha ottenuto risultati molto contenuti. “Quando ho letto che aveva scritto di voler ‘aggiustare Facebook’ ho pensato ‘Finalmente se n’è accorto’. Se c’è una enorme colpa che Zuckerberg ha e che personalmente trovo imperdonabile è di non aver visto e non aver capito per tempo. Ci ha messo più di due anni a capire quello che a tutto il mondo è stato evidente dopo l’elezione di Trump e che, invece, lui, liquidò come una baggianata, e cioè che Facebook si era trasformato in un potentissimo veicolo di falsità, violenza e persino fascismo. Ora, potrebbe essere troppo tardi per rimediare.

 

E soprattutto potrebbe non dipendere più da lui. Oggi, a questo punto della storia, Facebook è troppo grande, troppo importante, troppo intrecciato con le nostre vite e con la nostra quotidianità per pensare che la sua gestione dipenda solo da Facebook e da quello che decide Zuckerberg. Facebook non è più il solo responsabile di se stesso. Lo siamo anche noi, lo sono i governi, lo sono le società che ci investono. Facebook è nato per rendere migliori e più divertenti le nostre vite. Se qualcuno lo ha fatto diventare una cosa che, al contrario, le rende peggiori, tocca anche a noi semplici utenti, non solo a Zuckerberg, mettere a posto le cose, buttare fuori i cattivi e riappropriarci di quello che una volta era il nostro social network preferito. E personalmente prego non sia troppo tardi”.

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