Il parlamento europeo (foto LaPresse)

L'Europarlamento rimanda la direttiva sul copyright, ma il vero problema è lo strapotere di Google

Innocenzo Genna

Con 278 voti a favore, 318 contrari e 31 astenuti, Strasburgo rinvia l’approvazione della legge. Serviranno altre discussioni e gli europarlamentari potranno proporre nuovi emendamenti

Il Parlamento europeo ha votato ieri contro la riforma sul copyright e la difesa del diritto d’autore online, riaprendo il dibattito sul tema. Con 278 voti a favore, 318 contrari e 31 astenuti, l’Europarlamento ha rinviato l’approvazione della legge, probabilmente a settembre. Serviranno altre discussioni e gli europarlamentari potranno proporre nuovi emendamenti. La decisione dei legislatori europei è inconsueta: di solito una legge già approvata dalle Commissioni parlamentari, come era quella sul copyright, passa senza problemi in Aula. Questa volta tuttavia lo scontro è stato molto più acceso, con i campi a favore e contrario agguerriti l’uno contro l’altro.

 

Ma a chi giova la riforma europea del copyright? Lo scontro tra produttori di contenuti e piattaforme online sembra sempre piuttosto una battaglia condotta contro Google, accusata di lucrare con l‘aggregazione di notizie (Google News) oppure ospitando la condivisione di contenuti da parti di terzi (Youtube). In Germania e Spagna, dove il balzello sugli “snippet” (cioè l’estratto che rimanda, attraverso l’hyperlink, ad un articolo) era già stato applicato, Google reagì con la de-indicizzazione delle notizie e gli editori chiesero subito la pace: evidentemente perché hanno bisogno di essere reperibili su Google. In altre parole, il vero problema è la posizione dominante di Google, i cui servizi appaiono indispensabili all’ecosistema Internet, ivi compresi gli editori che migrano online. Ma Google è fortissimo anche nella condivisione dei video: così, anche venissero introdotti licenze e filtri per le piattaforme social, Youtube schiverebbe il problema, poiché ha già sviluppato una costosa tecnologia ad hoc per filtrare i contenuti non autorizzati, il Content ID. Ma cose potrebbero fare gli altri? Google ha già pochi concorrenti, ma con la nuova normativa non ne avrebbe più, perché nessuno potrebbe sviluppare una tecnologia proprietaria come quella di Content ID agendo su scale infinitamente più basse.

 

Poi c’è il discorso del value-gap, cioè la ridistribuzione del valore tra settori tradizionali ed Internet. Il digitale ha avuto un effetto travolgente su modelli di business consolidati impattando radicalmente sulla catena del valore e sul controllo dei prezzi. Nella musica si è passati dai CD a 30 Euro ai music store online che offrono tutto in streaming a tariffe flat. Nelle telecom le telefonate e gli SMS a caro prezzo sono stati sostituiti da Skype, WhatsApp e tariffe flat. In entrambi i casi le case discografiche e le grandi telco hanno osteggiato il cambiamento, ma ormai sanno che ritornare al passato è impensabile: non lo permette la tecnologia e non lo vogliono i consumatori.

 

Il problema del value gap è, semmai, come mai la ricchezza creata dal digitale resti nelle mani di pochi operatori, in modo similare all’accumulo di capitale nell’800, come giustamente osservato da Stefano Quintarelli nel suo articolo “Intermediati digitali, unitevi” del 24 giugno. Il problema non è il value gap in sé, ma la sua concentrazione. Su questo tema la riforma europea del copyright manca il bersaglio ma, anzi, pone le basi per un consolidamento dei monopoli online conferendo loro, paradossalmente, anche una sorta di potere di intermediazione sulla circolazione delle informazioni. Quindi, a chi giova questa riforma del copyright?