Airbnb, i suoi primi dieci anni

Michele Masneri

I numeri del primo decennale e i piani futuri dell’affittacamere che piace alla gente che piace

San Francisco. Sono già passati dieci anni, il divano leggendario ormai è roba da museo, oggi le foto dei primi ospiti campeggiano in gigantografie museali, come la Numero Uno di zio Paperone. San Francisco celebra il decennale di uno dei suoi unicorni di massimo successo, Airbnb, l’affittacamere che piace alla gente che piace e che annuncia le sue cifre sempre più globali (4,5 milioni di alloggi distribuiti in 81.000 città).

 

Il fondatore Brian Chesky officia dal palco del Masonic Concert Hall la convention celebrativa nel puro spirito siliconvallico, con dolcevita e jeans neri e muscoli guizzanti opera di qualche inestimabile personal trainer. “Dieci anni fa non avremmo mai immaginato che potesse diventare tutto questo” dice tra gli “uuuh” del pubblico parzialmente dipendente. Il luogo è simbolico: Airbnb, dice la morfologia della fiaba ormai abusata, si chiamava Air Bed and Breakfast e nacque per una conferenza di architetti, una specie di salone del mobile,che aveva intasato i posti letto a San Francisco (e la conferenza si teneva proprio in questo teatro). Chesky e il suo socio, Joe Gebbia, ebbero la pensata d’affittare un sofà, e adesso tutto è storia e tutto è celebrazione.

 

Le distanze sono state annullate da queste parti: sembrano secoli, invece fino a dieci anni fa non c’erano né Airbnb né l’iPhone inventato da un altro patito del dolcevita nero. “Allora, le persone pensavano che scambiarsi le case tra sconosciuti fosse folle” dice ancora Chesky. “Oggi, milioni di persone lo fanno tutti i giorni. Ma noi vogliamo andare oltre, supportando ed espandendo la nostra community, così che tra 10 anni più di 1 miliardo di persone ogni anno potranno vivere in prima persona l’esperienza di viaggio unica che offre Airbnb”.

 

Tra le novità annunciate nella messa cantata del decennale non c’è la quotazione di Borsa (prevista e poi rimandata, come succede sempre più spesso tra le primarie aziende qui, e del resto con tutti i soldi che hanno questi unicorni ci si chiede semmai che bisogno c’è di andarci, in Borsa, con tutte le relative seccature). Semmai tante piccole migliorie: il programma “super guest”, una specie di Millemiglia dei diecimila più bravi inquilini: e chissà quali saranno i criteri, se quelli che lasciano le case più pulite o non perdono le chiavi o non tormentano di inutili richieste i padroni di casa.

  

Poi Airbnb Plus, una nuova categoria di case “verificate” e “certificate” da stuoli di addetti, per chi non vuole scoprire che l’ariosa casa prenotata online sia invece un angusto monolocale graziato da grandangoli generosi.

  

Poi ancora una fascia di lusso, realizzata dopo l’acquisizione l’anno scorso dell’azienda specializzata Luxury Retreats, e lo sbarco in grande stile nel settore alberghiero, con la divisione “boutique hotel”; Airbnb insomma diventa anche un po’ albergatrice, annullando la distanza coi suoi rivali. Proprio mentre il colosso Booking.com annuncia al contrario che investirà nell’affittacamere. Il mondo dell’ospitalità insomma è tutto in fermento mentre si celebra il fondamentale decennale.

 

Mentre Chesky arringa la folla sul palco, il co-fondatore Joe Gebbia, l’uomo del design, e Chris Lehane, l’uomo della politica Airbnb, ex braccio destro di Clinton alla Casa Bianca, officiano dietro le quinte. Giornalisti di tutto il mondo si aggirano per le diverse sedi della società, arredate con lo stile informale-ludico della moda siliconvallica, con boschi verticali e cucine a vista (ma addetti alla sicurezza ovunque, è pur sempre una società che vale trenta miliardi). Intanto un dato impressiona: 41 miliardi di dollari guadagnati dai padroni di casa in questi 10 anni tramite la piattaforma sanfranciscana. Una specie di piano Marshall soprattutto per paesi come l’Italia, con tanti padroncini immobiliari, case in sovrannumero, città d’arte, abitanti accoglienti e poche altre industrie. Infatti per loro siamo un paese importantissimo.

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