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Basta turismo low cost. Ecco le capitali europee che vogliono fermare Airbnb

Maurizio Stefanini

Madrid, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Vienna, Cracovia e Reykjavík scrivono una lettera alla Commissione perchè obblighi l'azienda a rendere noti i dati dei suoi clienti

Madrid, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Vienna, Cracovia e perfino l’islandese Reykjavík, che pure non si trova nell’Ue: sono le otto metropoli europee che si sono messe assieme per chiedere alla Commissione di costringere in qualche modo Airbnb a rendere noti i dati dei suoi clienti. Per la società che mette in contatto viaggiatori e privati con spazi di affittare sarebbe un potenziale disastro. Infatti, se si sanno i nomi di chi è disposto ad affittare, chi ha necessità potrebbe contattarli direttamente, tagliando il compenso per l’intermediazione di Airbnb: risparmio per l’ospite, possibilità di guadagnare qualcosa in più per il proprietario. Ma la lettera che le otto città hanno deciso di sottoscrivere va ben oltre il problema del ruolo della società che ha rivoluzionato il mondo del turismo. E spiega che i viaggiatori, anche grazie alle nuove possibilità low cost stanno diventando troppi, con interi quartieri, soprattutto quelli centrali, che sono ormai “ostaggio” dei turisti. Berlino e Londra non hanno al momento sottoscritto la lettera, ma si riservano di farlo.

 

Non a caso la mossa è stata decisa nel corso di una conferenza di due giorni sulla rendita turistica che si è tenuta ad Amsterdam, una città da tempo in prima linea in questa crescente ondata di insofferenza anti-viaggiatori. Lo scorso 5 ottobre, ad esempio, il Comune ha deciso di vietare l’apertura di nuovi negozi solo per turisti. Non solo, tra le otto città c’è Barcellona, dove contro i troppi turisti c’è una vera e propria sollevazione popolare.

E questo senza contare che da Venezia a Dubrovnik, passando per Santorini, sono diverse le mete turistiche da, da tempo, stanno sperimentando misure di “controllo” del turismo come, ad esempio, il numero chiuso. 

 

Come ha spiegato il vicesindaco di Amsterdam Laurens Ivons, la richiesta è rivolta anche all’altra piattaforma Booking.com. La stessa municipalità ha fatto sapere che per fronteggiare le conseguenze indesiderate di questo boom del turismo low cost si trova costretta a spendere 4 milioni di euro all’anno. In particolare, poiché la città ha stabilito che i giorni di affitto non possono superare il limite di 30 l’anno per abitazione, molti soldi se ne vanno semplicemente per verificare, via internet, se il limite viene rispettato. “Il problema non è il turismo, ma il volume di visitatori” ha spiegato il suo collega di Reykjavík, Sigurdur Bjorn Blondal. La capitale islandese è passata da 450.000 turisti annuali nel 2008 ai 2,5 milioni attuali: 20 volte la popolazione della città e 7 volte e mezzo la popolazione dell’intera isola. Insomma, secondo Sigurdur Bjorn Blondal senza delle regole la situazione “diventerà invivibile”. Miguel Sanz Castedo, director de Turismo del Ayuntamiento de Madrid, ha aggiunto che dove opera Airbnb gli affitti tendono a salire vorticosamente, danneggiando gli abitanti e creando un pesante rischio di gentrificazione.

 

Airbnb, ovviamente, non ci sta e in un comunicato ha spiegato che “lavora con oltre 300 municipalità per chiarire le regole degli affitti gestiti”. Senza perdere l’occasione per lanciare una frecciata ai concorrenti: “Mentre altre società come HomeAway, Tripadvisor, Expedia o Booking.com non fanno niente, noi ci adoperiamo per una crescita responsabile”.

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