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La guerra tra Amazon e Google rivela il paradosso dei monopoli tech

Eugenio Cau

La disputa sui contenuti in streaming e Robert Bork

Roma. Le metafore belliche sono decisamente inflazionate quando si parla di tecnologia: riesce facile dire che Tizio è in guerra con Caio per il dominio del mercato delle smart tv o dell’intelligenza artificiale, quando invece si tratta di banale concorrenza. Questo invece è uno dei pochi casi in cui il paragone guerresco calza, e dunque: è iniziata una guerra tra Amazon e Google. La prima mossa è stata di Amazon, che ha smesso di vendere la Chromecast, un aggeggino venduto da Google che si attacca alla tv e consente di vedere le trasmissioni in streaming. La ragione è che Amazon ha il suo aggeggino, che si chiama Fire Tv, e vuole che i consumatori comprino quello. Amazon ha anche un servizio di streaming, che si chiama Prime Video e ha un sacco di belle serie tv, ma non si può vedere sulla Chromecast per la stessa ragione: bisogna usare la Fire Tv. Google ha risposto duramente, e questa settimana ha bloccato la app di YouTube dai dispositivi di Amazon. Tutti i dispositivi venduti da Amazon non avranno più una app dedicata per YouTube, il servizio video di Google, e da gennaio non potranno accedere a YouTube nemmeno da web.

   

Di guerre così, con le compagnie che si danneggiano l’una con l’altra, non se ne vedono tante. L’ultima, nel 2014, era stata ancora tra Amazon e gli editori americani, capeggiati da Hachette, che chiedevano al gigante dell’e-commerce di alzare i prezzi degli ebook. Quello scontro fu tipico delle “guerre” che l’industria tecnologica aveva combattuto fino a quel momento: la nuova industria dell’innovazione distruggeva modelli di mercato obsoleti, favorendo il consumatore grazie alla sua enorme economia di scala e nel frattempo facendo miliardi a palate. Alla fine Amazon la guerra con Hachette l’ha persa, ma il senso era rimasto: quella che voleva abbassare i prezzi degli ebook era l’azienda di Jeff Bezos. Stesso discorso per la lotta, diversa ma paragonabile, di Uber contro i taxi: la compagnia di Travis Kalanick entrava in guerra con i tassisti sì per far soldi, ma con il risultato finale di diversificare e migliorare il servizio al cliente. E’ questo tipo di battaglie che ha consentito alla Silicon Valley di crescere indisturbata fino a diventare un grande oligopolio o, meglio ancora, un insieme di monopoli, ciascuno nel suo campo: Google nel web, Amazon nell’ecommerce, Apple nell’hardware di consumo, Facebook nei social media e Microsoft nel settore produttività.

   

Nessuna agenzia di Antitrust mondiale si è mai sognata di agire contro questi giganti monopolistici perché rientravano nei canoni del paradosso di Bork – da Robert Bork, il giudice americano che negli anni Settanta ha plasmato per primo il concetto intorno al quale si regola l’Antitrust moderno. Funziona così: non importa quanto un’azienda sia grande, basta che il consumatore sia garantito. Finché il consumatore non è danneggiato possono crearsi anche giganteschi monopoli, ma se i prezzi restano bassi e i servizi adeguati è tutto ok. Lo ricordava questa settimana John Gapper sul Financial Times, notando come, per rispondere ai monopoli tech, anche negli altri settori, dal farmaceutico alle assicurazioni, sia in corso un gran movimento di acquisizioni che ci sta portando in un’epoca di giganti del business.

   

Torniamo alla guerra tra Amazon e Google, che è diversa da quella tra Amazon e Hachette: qui abbiamo due giganti tech che sono cresciuti così tanto da iniziare a pestarsi i piedi l’uno con l’altro, e le cui azioni di guerra stanno danneggiando proprio l’unico attore sacro per il giudice Bork: il consumatore. Chi ha comprato un device di Google prima poteva guardare video su YouTube, adesso non può più. Chi ha una Chromecast non può vedere le belle serie tv di Amazon. Tutto legittimo, e finora il problema è limitato. Ma molti osservatori, per esempio Will Oremus su Slate, sostengono che questo sia soltanto l’inizio di una guerra più ampia, visto che ormai le ambizioni dei giganti tech hanno iniziato a sovrapporsi inesorabilmente. E dunque quelli che un tempo erano monopoli benefici che rispettavano il paradosso di Bork potrebbero smettere di esserlo, e trasformarsi in monopoli su cui è ora di intervenire.

 

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.