Gerry Kasparov (a sinistra) sconfitto da Deep Blue nel 1997

Degli scienziati hanno insegnato a dei computer a cooperare meglio degli umani

Antonio Grizzuti

Una ricerca dimostra che la nuova frontiera delle intelligenze artificiali non è più la semplice competizione

Tutto ha avuto inizio a Filadelfia il 10 febbraio del 1996: Garry Kasparov, campione del mondo in carica di scacchi, perde la partita numero uno contro Deep Blue, il super computer della IBM programmato per affrontare i migliori giocatori di questa disciplina. Nelle partite successive Kasparov ribalta il risultato – vincerà infine per 4 a 2 – ma il primo capitolo della sfida uomo contro macchine è scritto. Il seguito è ben noto: l’anno successivo nel corso della rivincita Kasparov viene sconfitto malamente, perdendo l’ultimo match in sole diciannove mosse. Negli ultimi decenni ingegneri informatici e programmatori hanno puntato molto sullo sviluppo di computer specializzati nei cosiddetti zero-sum games, nei quali è un solo giocatore a vincere mentre tutti gli altri perdono. È il caso di Jeopardy, Go e poker, nei quali le macchine hanno raggiunto livelli di abilità tali da rendere quasi impossibile la vittoria da parte dei top players umani.

 

Quello della competizione è certamente un aspetto importante perché consente di testare i limiti logici delle macchine. Tuttavia appare sempre più chiaro che le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale – si pensi ad esempio alle auto che si guidano da sole – necessitano di abilità cooperative più che competitive.

 

La ricerca pubblicata proprio in questi giorni da un gruppo di ricercatori guidato dal professor Jacob Crandall dell’Università di Provo (Utah) si muove in questa direzione. Gli scienziati hanno studiato il comportamento di venticinque algoritmi impegnati in tre differenti giochi cooperativi (detti anche a somma non zero), quelli cioè in cui i partecipanti non sono in diretta competizione tra loro ma devono collaborare per raggiungere un fine comune. Gli studiosi hanno creato squadre formate solo da algoritmi e solo da umani, e squadre miste algoritmi/umani. Nella prima fase dello studio solo l’algoritmo S++ si è mostrato capace di cooperare, ma solo con i suoi “simili” e non con gli esseri umani. Questo risultato ha interrogato i ricercatori i quali, per risolvere il problema, hanno pensato di dotare S++ di una caratteristica prettamente umana: la comunicazione. Nei giochi cooperativi è infatti permesso ai giocatori lo scambio di brevi messaggi, denominati cheap talk, allo scopo di migliorare il payoff del gioco. Crandall e i suoi hanno dunque confezionato diciannove brevi frasi come “mi hai tradito” oppure “sto cambiando la mia strategia”, e via di seguito. S#, la versione dell’algoritmo capace di comprendere e inviare questo tipo di messaggi, si è rivelato capace di cooperare addirittura meglio degli esseri umani in due giochi su tre.

 

La ricerca di Crandall apre nuovi scenari nel panorama dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Lo stesso studioso ha affermato che “le macchine devono fare di più che competere”. Forse il primo passo verso una nuova epoca in cui l’intelligenza artificiale cessa di rappresentare una minaccia e diventa compagna di viaggio dell’uomo.

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