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E se la realtà fosse solo una grande simulazione al computer?

Antonio Grizzuti

L’imprevista elezione di Donald Trump, la rocambolesca vittoria dei Patriots al Super Bowl, la gaffe della notte degli Oscar. C'è chi comincia a chiedersi se non sia tutto un'illusione

Non è dato sapere se al New Yorker conoscano o meno Franco Battiato, ma di certo la sua Strani giorni potrebbe essere una colonna sonora adatta al clima che si respira da alcuni mesi in redazione. Prima l’imprevista elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, poi la rocambolesca vittoria del Super Bowl all’overtime ad opera dei Patriots sui Falcons quando ormai il destino del match sembrava segnato. Infine la sconclusionata gaffe della notte degli Oscar, con La La Land prima chiamato sul palco a ritirare la statuetta per il miglior film con tanto di discorsi di ringraziamento e poi costretto a cedere il riconoscimento agli avversari di Moonlight – il produttore Jordan Horowitz si è affrettato a definirli amici, ché fa più correct. Per un popolo che storicamente ha coltivato il politically correct come valore civico e vissuto l’alternanza tra democratici e repubblicani con meno sussulti di quelli che si proverebbero in un solo giorno al Campidoglio, sembra essercene abbastanza per credere che tutto ciò sia in realtà una grande illusione. La serata degli Oscar dimostra che viviamo in una simulazione al computer?, si è chiesto Adam Gopnik sul New Yorker. Dopo essersi ripresi dallo stupore iniziale affiora il desiderio di approfondire l’argomento. Molti probabilmente ricorderanno la scena di Matrix in cui il protagonista Neo dopo aver visto passare per due volte lo stesso gatto, confessa ai suoi compagni di aver provato un déjà vu.

 

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Trinity gli spiega che quella sensazione è dovuta in realtà un’imperfezione che si verifica quando viene cambiato qualcosa nel sistema. È quello che nel campo informatico viene chiamato glitch, un piccolo errore di programmazione che, a differenza del più grave bug, non provoca l’arresto dell’applicazione.

 

L’ipotesi della simulazione non è una novità assoluta del nostro tempo, ma affonda le sue radici in alcune religioni orientali, che considerano questo universo māyā (illusione) e l’uomo intrappolato nel samsāra (ciclo delle vite). Concetto ripreso molti secoli dopo dal filosofo tedesco Arthur Schopenauer nel suo saggio Il mondo come volontà e rappresentazione, che tanto ha influenzato il pensiero filosofico del ventesimo secolo. Già nel Mito della caverna Platone operava di fatto una netta separazione tra le idee (la verità) e la loro proiezione (il mondo concreto che è solo doxa, opinione).

 

Ma è nella modernità che cosmologia e fisica quantistica hanno messo il turbo all’ipotesi della simulazione. L’assunto che l’universo si sia originato dal nulla grazie al big bang, una singolarità al di fuori dello spazio-tempo, e la scoperta che materia ed energia sono ultimamente costituite da “pacchetti” ben definibili (i quanti), consegnano a detta di alcuni un universo teoricamente calcolabile e dunque compatibile con una natura digitale. Secondo questa visione, esiste dunque la concreta possibilità che l’umanità sia protagonista di un enorme, collettivo videogame.

 

Il filosofo svedese Nick Bostrom, docente all’Università di Oxford e direttore del Future of Humanity Institute, è considerato un luminare in questo campo. Nel suo paper Are you living in a computer simulation? finisce per riconoscere l’esistenza di tre ipotesi, almeno una delle quali vera: l’umanità si estinguerà prima di aver raggiunto un livello tecnologico talmente avanzato in grado di creare realtà simulate; nessuna civiltà che pure sia in grado di farlo creerà in futuro simulazioni della realtà; tutti noi stiamo già vivendo una simulazione. Poste le prime due ipotesi come false, rimane valida solo la terza. Forse solo qualche decennio fa Bostrom sarebbe stato considerato un folle: oggi invece si è guadagnato numerosi seguaci. Uno dei più illustri è sicuramente Elon Musk, che a più riprese ha ammesso pubblicamente di credere che la possibilità che l’umanità stia vivendo la vera realtà anziché una simulazione è di “una su miliardi”. Prendendo spunto dal lavoro di Bostrom il professor Silas Beane dell’Università di Washington ha provato a dimostrare col metodo matematico l’esistenza di una realtà simulata, e pur non giungendo ad una conclusione definitiva i suoi studi lasciano sostanzialmente aperta questa eventualità. Gli effetti di questo cambio di mentalità iniziano ad intravedersi anche nei campi che presentano maggiori implicazioni pratiche come la finanza. Lo scorso anno Bank of America ha inviato ad alcuni clienti una nota corredata da un’infografica nella quale spiegava che «è plausibile che grazie agli sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale e della capacità di calcolo, i membri di una civiltà futura abbiano deciso di creare una simulazione dei propri antenati».

 

Tutta fantasia? Probabile. Di sicuro c’è solo che ci ritroviamo lontani anni luce dal pragmatico e confortante realismo tomista dell’adaequatio rei et intellectus su cui poggiano sette secoli di filosofia occidentale. Visti i risvolti inquietanti forse è meglio lasciar perdere la tana del Bianconiglio, prendere la pillola blu e “fine della storia”?

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