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Il tifoso di calcio tedesco non sa cosa sia l'antisemitismo. Lezioni per gli stadi italiani

Daniela Santus

Le tifoserie di sinistra si raccolgono, tutte, attorno agli ebrei d’Israele, senza dimenticare i civili palestinesi. Cuori spezzati e lacrime alle manifestazioni per la liberazione degli ostaggi. L’isola di Berlino in una Germania vaccinata dalla sua storia

L’invecchiamento della società pone la Germania di fronte a sfide crescenti e, com’è noto, da alcuni anni si sono letteralmente spalancate le porte all’immigrazione. Se il continente europeo resta il principale punto di partenza per buona parte delle persone immigrate, di fatto la percentuale di quanti giungono da altre parti del mondo negli ultimi anni è in costante aumento. Nel 2022 poco più di 4 milioni di persone in Germania avevano radici nel vicino e medio oriente, il che corrisponde a circa il 16 per cento di tutte le persone con un background migratorio. A questi si aggiungono circa 1,2 milioni di persone nate in Africa o con almeno un genitore nato nel continente africano. Quanto alla fede di appartenenza, a fine 2022, il 50 per cento delle persone residenti in Germania era costituito da cristiani (44,6 per cento cattolici, 34,7 per cento protestanti e 3,7 per cento ortodossi). Un altro 36 per cento non apparteneva ad alcuna comunità religiosa, mentre l’8,5 per cento si era dichiarato musulmano o indù. Gli ebrei rappresentavano e tuttora rappresentano circa lo 0,3 per cento. In numeri assoluti, si calcola che in Germania vivano stabilmente e in maniera regolare poco più di 5,5 milioni di musulmani (gli irregolari sfuggono alle statistiche), dei quali circa 3 milioni con cittadinanza tedesca. Gli ebrei sono circa 95 mila. 

 

Se il tasso di natalità, tra i migranti musulmani, restasse invariato per quattro generazioni, come anche il tasso di immigrazione, secondo i calcoli dell’economista Thilo Sarrazin (ex senatore di Berlino), la popolazione musulmana in Germania potrebbe in breve tempo superare il 70 per cento della popolazione totale. Maggiore cautela ha dimostrato uno studio del Pew Center del 2017: supponendo infatti che l’immigrazione islamica in Germania resti costante com’era nel periodo 2014-2016, entro il 2050 la quota di popolazione musulmana raggiungerebbe il 20 per cento o poco più. In ogni caso, anche secondo l’ipotesi prudente del 20 o 25 per cento, si tratterebbe di una presenza islamica importante. La Germania si sta preparando da tempo a fronteggiare le sfide di una corretta integrazione, in particolar modo per quel che riguarda l’antisemitismo. Non sempre con successo, a volte sì.  I primi segnali d’allarme si sono percepiti chiaramente nel 2016, quando uno studio condotto dal Berliner Institut für empirische Integrations und Migrationsforschung (BIM) aveva rilevato una situazione preoccupante per quanto riguarda l’atteggiamento dei rifugiati – provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan – in relazione agli ebrei, alla Shoah e a Israele. A distanza di sette anni, la risposta armata d’Israele agli stupri sadici, al massacro di più di 1.200 civili e ai rapimenti di centinaia di donne, bambini, anziani israeliani, ha rafforzato l’atteggiamento di odio antiebraico tra molti immigrati, portando il governo tedesco e i cittadini a reagire. Così, mentre nel mondo occidentale – particolarmente in Italia, in Francia e negli Stati Uniti – nelle strade si celebrava e ancora talvolta si celebra il pogrom auspicando la fine dell’esistenza dello stato ebraico, in Germania la risposta ad analoghe manifestazioni (che pure ci sono) è stata non soltanto politica.


La risposta di Israele a Gaza  ha rafforzato  l’atteggiamento di odio antiebraico  tra molti immigrati, portando il governo tedesco e i cittadini a reagire


Com’è noto, il vicecancelliere tedesco Robert Habeck ha più volte ribadito che “non è certo proibito difendere il popolo palestinese, ma chiedere o celebrare la violenza contro gli ebrei è vietato”. Il leader della Cdu Friedrich Merz ha poi proposto che, in futuro, le persone che desiderano acquisire la cittadinanza tedesca possano farlo solo dopo aver riconosciuto esplicitamente il diritto all’esistenza di Israele. Non c’è stata città tedesca che non abbia esposto la bandiera d’Israele. “È nostro compito comune proteggere gli ebrei in Germania” ha sottolineato Nancy Faeser, ministra federale degli Interni “L’antisemitismo, non importa di quale parte, è un attacco alla dignità umana. Combatterlo è un compito dell’intera società”. Infatti la società si è mobilitata. 

 

Particolarmente significativo è l’atteggiamento dei tifosi di calcio. Ciò che desta maggiormente stupore, in chi conosce la Germania soltanto per il suo passato, è il sentimento di grande affetto, solidarietà e amicizia tra Israele e le squadre tedesche con tifoseria “di sinistra” come ad esempio il Werder Brema, il St. Pauli di Amburgo, ma anche la Stella Rossa di Lipsia, il Chemie sempre di Lipsia e persino le squadre minori. In Italia, come in altri paesi occidentali, gli ultras smaccatamente di estrema destra sono antisemiti e gli ultras smaccatamente di estrema sinistra sono antisionisti, che poi forse è la stessa cosa. In Germania, a differenza di quanto è accaduto e accade nel resto del mondo occidentale, le tifoserie di sinistra si raccolgono, tutte, attorno agli ebrei d’Israele. Il che non significa che i civili palestinesi, che pagano le conseguenze dei loro leader, vengano dimenticati. E’ però commovente vedere le bandiere “antifa” sventolare con quelle israeliane e non contro.


Grande affetto, solidarietà e amicizia tra Israele e le squadre tedesche come il Werder Brema, il St. Pauli di Amburgo o la Stella Rossa di Lipsia


Basti pensare alla manifestazione organizzata dagli ultras del Werder Brema mercoledì 22 novembre 2023. Era la quinta manifestazione, dal giorno del massacro, svoltasi a Brema, città del nord della Germania. In quel caso si era trattato di una manifestazione per il rilascio degli ostaggi. Nessun vessillo, nessuno slogan, niente odio: tutto molto raccolto, con musica ebraica a inframmezzare la lettura delle lettere dei famigliari dei rapiti e degli uccisi. Un migliaio di ragazzi ventenni o poco più, sotto la pioggia, stretti in ordinato silenzio in una piazza gelida illuminata da centinaia di candele. Le foto di tutti i rapiti appese ai muri. O alla manifestazione del 4 marzo, sempre organizzata dagli ultras del Werder Brema, in collaborazione con i giovani dell’Associazione di amicizia Germania-Israele. Ancora una volta una piazza raccolta. Abbiamo ascoltato la testimonianza inviata dalla mamma di Hersh Goldberg-Polin, un giovane ebreo israeliano tifoso dell’HaPoel Jerusalem e appassionato della squadra di Brema. Da mesi ormai il club, tramite X (ex Twitter), lancia il messaggio: “Aiuto per Hersh Goldberg-Polin. Manca il giovane tifoso israeliano amico del Werder. Era al festival musicale Supernova nel sud d’Israele, quando c’è stato l’attacco dei terroristi ed è stato rapito e portato a Gaza”. Purtroppo Goldberg-Polin, che era solito visitare Brema con assiduità (le ultime volte a marzo e a giugno 2023), è stato ferito da una granata e caricato su un camion alla volta di Gaza. Da quel momento non si è avuta più notizia: alla Croce Rossa Internazionale non è mai stato permesso di visitare i rapiti. Al termine della manifestazione un video dei famigliari degli ostaggi e l’organizzazione dell’invio di cartoline di solidarietà da Brema in Israele. Cuore spezzato e lacrime. Nessuna contestazione esterna.

 

Anche ad Amburgo il sostegno ad Israele si fa sentire negli stadi dove il club St. Pauli ha più volte rilasciato dichiarazioni che non lasciano spazio a dubbi: “Condanniamo il terrorismo! Il nostro pensiero va soprattutto ai nostri amici di Tel Aviv”. Tra i tifosi del St. Pauli e il club israeliano Hapoel Tel Aviv esiste infatti da molti anni un’amicizia che è rimasta salda anche dopo la richiesta – fatta pervenire alla squadra da tifosi di squadre come il Celtic Glasgow e da ben 14 fan club esteri dello stesso St. Pauli – di ritrattare il sostegno a Israele. I firmatari della lettera sostenevano che il St. Pauli avesse una visione unilaterale del conflitto proprio a causa dell’amicizia dei suoi tifosi con l’Hapoel Tel Aviv. Tuttavia il club ha prontamente replicato affermando che le dichiarazioni di alcuni fan club “hanno oltrepassato il limite” e una “banalizzazione e legittimazione” degli attacchi è “del tutto inaccettabile. I terroristi non sono vittime e il terrorismo non è una forma legittima di resistenza o protesta!”. Sugli spalti degli stadi tedeschi, ad ogni partita, si vedono striscioni con la scritta: nie wieder ist jetzt, mai più è ora. Uno slogan ben diverso da quello che viene rilanciato in molte piazze europee. D’altra parte, in Germania lo slogan che chiede una “Palestina dal fiume al mare”, negando così il diritto d’Israele a esistere, è ritenuto reato penale. A dimostrazione del profondo affetto tra i tifosi del St. Pauli e Israele è stata l’accoglienza riservata a Liam Or, uno dei ragazzi rapiti e tenuti in ostaggio da Hamas (liberato il 29 novembre). Il primo viaggio all’estero di Liam è stato ad Amburgo dove, domenica 10 marzo, allo stadio lo attendevano i suoi amici del St. Pauli e un megaschermo con la sua foto e la scritta, in ebraico e in inglese, “Welcome back home”. Bentornato a casa. Sì, Liam ora ha due case nel cuore: Israele e la Germania.


In Germania lo slogan che chiede una “Palestina dal fiume al mare”, negando così il diritto d’Israele a esistere, è ritenuto reato penale


Significativo è il sostegno a Israele anche da parte dell’Eintracht di Francoforte (squadra gemellata con l’Atalanta), la cui tifoseria non ha una precisa collocazione politica, come pure quello del Chemie di Lipsia, con tifoseria di sinistra. Sugli spalti degli stadi di entrambe le squadre compaiono sempre striscioni con la scritta: “Palestina libera da Hamas” o anche “Stop al terrorismo e al fascismo”. C’è poi un momento di solidarietà spontanea che amo ricordare e che lega i tifosi delle due squadre. All’indomani del massacro perpetrato da Hamas, come si ricorderà, era stato indetto dalle fazioni palestinesi un “venerdì della rabbia” con la richiesta di attaccare ogni obiettivo ebraico nel mondo. In quell’occasione, il gestore di un piccolo locale israeliano – l’Akko Hummus Bar di Lipsia – aveva deciso di non aprire, senonché a fargli cambiare idea è stato un nutrito gruppo di tifosi di entrambe le squadre che si è ritrovato davanti al piccolo ristorante per garantire la sicurezza, oltre che per mangiare e bere in allegria. 

 

Chi sono i tifosi? Gente comune. Proprio come sono persone comuni quelle che seguono il Bremer Sport Verein, squadra poco più che amatoriale (quarta lega tedesca di calcio) che gioca nel quartiere più multietnico della città di Brema. Non è raro infatti sentire i tifosi incitare i giocatori al grido di Yalla! Yalla! Eppure anche sui loro spalti campeggiano striscioni di solidarietà a Israele, sulle transenne fanno bella mostra sticker con la Stella di David affiancata al logo della squadra e la scritta “Bremer SV fans gegen antisemitismus”, i tifosi del Bremer SV contro l’antisemitismo o, quelli ancora più espliciti, con la scritta: “Free Gaza from Hamas! Free West Bank from Abbas!” 


Nei cortei dell’8 marzo a Monaco, a Lipsia, a Oldenburg, a Brema, a Düsseldorf sono comparse le bandiere d’Israele


E’ chiaro, come anche si evince da un recente studio della Fondazione Konrad Adenauer, che l’approvazione di idee antisemite è mediamente molto bassa nella popolazione tedesca, ma è altrettanto chiaro che tali idee fanno maggiore presa quanto più basso è il livello di istruzione formale. Si tratta pertanto di una sfida importante per il sistema educativo, sfida che la Germania – se guardiamo ai campi di calcio – sta vincendo. Certo molto resta ancora da fare.
A Berlino si assiste alla situazione più critica. Afferma il quotidiano Taz: “Qui l’empatia verso gli ebrei è rara quanto un poster per gli ostaggi di Gaza che non venga strappato dopo brevissimo tempo”. Una studentessa ebrea, ad esempio, racconta alle telecamere di Tagesschau di non poter “entrare alla Libera Università o all’Università delle Arti perché ci sono minacce concrete” e mostra la lettera di minacce che lei e altri studenti ebrei hanno ricevuto, con su scritto: “Non vediamo l’ora di farti scivolare giù per il camino di Auschwitz”. Com’è potuto accadere? Non si tratta, a prima vista, di antisemitismo veicolato dall’AfD, partito di estrema destra. Infatti, nonostante il filoputinismo da cui è pervaso il partito, già l’11 ottobre i suoi parlamentari avevano chiesto al Bundestag (parlamento) di tagliare i fondi per l’Unrwa. Il Parlamento tedesco, in quell’occasione, aveva bocciato la mozione definendola “razzista” nei confronti dei palestinesi, salvo poi – dopo le prove del coinvolgimento attivo nel massacro di 12 membri dell’Unrwa – dichiarare che la Germania avrebbe sospeso i propri aiuti. Nonostante ciò è chiaro che, come sottolineato dalla Fondazione Konrad Adenauer, essendo i sostenitori dell’AfD caratterizzati da atteggiamenti populisti e da una vicinanza alle credenze cospirazioniste, possa in alcuni di loro emergere un atteggiamento antisemita intrecciato a fake news e credenze complottiste. Si tratta tuttavia di numeri irrisori, seppur importanti per l’argomento che stiamo trattando.

 

Escludendo pertanto l’AfD, quale principale strumento di propaganda antisemita, non si può non notare come alla base dell’antisemitismo attuale in Germania ci sia un’ideologia che, in ogni caso, prende le mosse dal nazismo e che va sconfitta sui banchi di scuola. I principali responsabili delle azioni antisemite affondano le loro radici nel pensiero e nella propaganda del gran muftì Amin al-Husseini, l’alleato arabo di Hitler che aveva creato un battaglione di SS islamiche. Come s’è detto, per porvi rimedio non si può prescindere da un impegno particolare da parte dei docenti ed è alla loro formazione che la Germania sta guardando.
Come già nel 2020 avevano affermato Julia Bernstein e Florian Diddens: “L’antisemitismo esistente tra gli studenti musulmani – da cui provengono la maggior parte degli attacchi violenti contro gli studenti ebrei – viene banalizzato dagli insegnanti perché, sullo sfondo di paure diffuse, sono riluttanti ad affrontare chiaramente il problema. Temono che fare riferimento agli aggressori musulmani o all’antisemitismo islamico come base ideologica degli attacchi equivarrebbe a discriminare una minoranza religiosa”. 

 

Sono ancora pochi gli studi sull’antisemitismo d’importazione, ma appare ormai acclarato che, anche a Berlino, questo parta da una ristretta frangia molto radicalizzata di rifugiati palestinesi che fa proseliti. Una delle prime iniziative per contrastare l’odio antiebraico d’importazione è stata la messa al bando della rete palestinese Samidoun, fiancheggiatrice di Hamas. “Israele ha il diritto di difendersi da questo barbaro attacco”, ha affermato – all’indomani del pogrom – il cancelliere Scholz. La sicurezza deve essere ripristinata. “In questo momento c’è solo un posto per la Germania, quello al fianco di Israele. La sicurezza di Israele è la ragion d’essere tedesca”.  Il blocco degli account di Samidoun sui social media ha fatto sì che l’organizzazione non potesse più diffondere efficacemente la propria propaganda o mobilitare le persone. Dal divieto del 2 novembre 2023, Samidoun non è più apparso pubblicamente in Germania. A metà novembre, sono state anche perquisite 54 moschee in sette diversi stati federali. In particolare il Centro islamico di Amburgo è stato accusato di sostenere le attività delle milizie libanesi Hezbollah. Le indagini sono tuttora in corso.

 

Tuttavia non si tratta solo di repressione. Prendiamo ad esempio l’Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera: qui nel 2015 è nato il Centro di studi israeliani dove studenti e ricercatori possono concentrarsi sulla storia, la politica, la società, le scienze e la cultura israeliane. Presso il Centro di studi israeliani hanno insegnato, tra gli altri, Menachem Ben-Sasson, Benny Morris, Richard Cohen, Anita Shapira, Natan Sznaider, Lilach Nethanel, Eli Salzberger, Shlomo Ben-Ami e Shulamit Volkovsv. Da tenere presente la fondamentale importanza di questa Università come istituto di formazione per gli insegnanti superiori, soprattutto pensando al fatto che la storia d’Israele è parte integrante del curriculum scolastico bavarese.

 

A Heidelberg c’è una vera e propria università di Studi ebraici, frequentata da ebrei, cristiani, islamici o persone senza fede alcuna. In una recente intervista è stato chiesto al Rettore com’era la situazione dopo il 7 ottobre e il prof. Werner Arnold ha risposto: “I mesi successivi al 7 ottobre sono stati molto impegnativi. Bisogna immaginare di vedere piangere gli studenti in un’università che altrimenti è sempre molto allegra. Fortunatamente a Heidelberg non abbiamo il problema di antisemitismo che c’è in molte altre università, come quelle americane. Gli studenti hanno lanciato un progetto chiamato ‘ArabAsk’, con l’obiettivo di rivolgersi ai giovani con background migratorio di lingua araba su TikTok e Instagram, creando una sorta di dibattito sull’antisemitismo nel mondo islamico. L’aspetto positivo è che non abbiamo solo studenti ebrei, ma anche musulmani di lingua araba coinvolti nel progetto. Penso che l’idea di creare videoclip educativi sia molto buona perché i giovani hanno maggiori probabilità di essere raggiunti”.

 

Di fatto corsi di laurea o dottorati in studi ebraici e israeliani sono disseminati in moltissime università tedesche. Basti pensare all’Istituto di studi ebraici dell’Università Heinrich Heine di Düsseldorf o all’istituto Simon-Dubnow per la storia e la cultura ebraica di Lipsia o ancora agli Yiddish Studies dell’Università di Trier, per non citare che i più noti. Gli sforzi educativi che i vari stati federali mettono in atto, danno i loro frutti e le iniziative cittadine si moltiplicano. 
Grandissimo merito va all’impegno profuso dalla Società di amicizia tedesco-israeliana la quale, “alla luce dei crimini tedeschi contro gli ebrei durante la Shoah”, si riconosce “moralmente impegnata a favore della riconciliazione tra il popolo ebraico e la Germania”. 

 

Se vi capiterà di passare da Würzburg (Baviera), non perdetevi la mostra fotografica allestita dal 4 marzo e visitabile sino al 28, presso la sala del Municipio (ingresso gratuito). Saranno esposte foto del kibbutz Be’eri, scattate da un riservista giunto sul posto dopo le violenze di Hamas. Di fatto, con una costanza encomiabile, non c’è Land in cui, dal 1966, non si organizzino manifestazioni, lezioni, mostre, convegni per parlare con le persone, per non abbandonarle alla propaganda antisemita. Incontri che si svolgono con cadenza settimanale o almeno mensile; in molte città, dal 7 ottobre, con cadenza quotidiana. 
E’ evidente che la lotta all’antisemitismo non possa che passare attraverso lo studio, ma i docenti devono essere appositamente preparati: non si può improvvisare la conoscenza o lasciarla a TikTok. Così, mentre all’Università di Cambridge le studentesse, l’8 marzo, hanno potuto impunemente imbrattare e fare a pezzi il ritratto di Lord Balfour, per le strade di molte città tedesche lo stesso giorno comparivano i manifesti “Believe Israeli Women”, credi alle donne israeliane. E noi, che guardiamo a tutto ciò con ammirazione, non possiamo che esserne grati. Quando poi, attraversando la strada, su un lampione di Lipsia mi imbatto in un adesivo con la scritta: “FCK BDS” e a Brema ne trovo uno con su scritto “Killing Jews is not resistance” con la bandiera antifa e quella d’Israele intrecciate, capisco che si può imparare dagli errori del passato. Basta volerlo. Ovviamente non è mia intenzione offrire una lettura geopolitica basata sugli sticker incollati ai lampioni, ma il fatto che non siano stati strappati, come anche il fatto che nei cortei dell’8 marzo a Monaco, a Lipsia, a Oldenburg, a Brema, a Düsseldorf siano comparse le bandiere d’Israele, offre un’immagine di speranza. La Germania è un paese i cui abitanti, diversamente dai molti don Abbondio che si sentono vasi di coccio tra vasi di vetro in Italia e altrove, hanno compiuto una scelta di coraggio. Nie wieder ist jetzt, mai più è ora.

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