Nelle aule

Botte e boicottaggi, le università europee sono al "momento Harvard"

Giulio Meotti

In tutto il vecchio continente gli ebrei nei vari campus si nascondono, dagli studenti ai professori, in un'ondata di antisemitismo che non sembra fermarsi

“Amphithéâtre Gaza”. I gruppi filo palestinesi hanno rinomato così all’università parigina Science Po la grande aula magna intitolata a Émile Boutmy, dopo aver impedito l’ingresso a una studentessa ebrea. “Non lasciatela entrare, è sionista” le hanno urlato. Sciences Po, la fabbrica delle élite francesi, la Harvard di Parigi, con la sua promessa di emancipazione intellettuale, pensiero critico e libertà di dibattito.  Sciences Po offriva a tutti le stesse possibilità di successo e poiché offriva un’esigenza intellettuale che appassionava i suoi studenti, la famosa scuola aveva qualcosa di nobile nella sua vocazione. Promesse della meritocrazia repubblicana per eccellenza per formare le élite provenienti dal popolo. Ora Emmanuel Macron deve denunciare gli episodi di antisemitismo a Sciences Po come “intollerabili e indicibili”. Il primo ministro, Gabriel Attal, ha annunciato al comitato amministrativo di Sciences Po che il suo governo intraprenderà un’azione legale. Già il filosofo dell’“identità infelice”, Alain Finkielkraut, per tenere una conferenza a Sciences Po era stato protetto dalle forze dell’ordine, perché i collettivi non avevano intenzione di lasciarlo parlare, senza minacciare un po’ di violenza contro quel “reazionario”. 
 

Stesse scene a Nanterre, nell’università dove ebbe inizio il Maggio ’68. “Gli ebrei si nascondono” ha dichiarato al Figaro Annaëlle, presidente della sezione di Nanterre dell’Unione degli studenti ebrei di Francia. “Per la prima volta, una studentessa mi ha raccontato di avere mentito sulla sua religione per non essere importunata. Ho raccomandato a un’altra di nascondere un ciondolo dove c’era scritto il suo nome in ebraico”. Intanto gli studenti ebrei dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, sono dovuti fuggire, temendo per la propria incolumità. “Gli studenti ebrei sono agenti israeliani” e “gli ebrei non appartengono a Israele, appartengono all’Europa”. Sono solo alcuni slogan rivolti contro di loro
 

Uno studente ebreo della Libera Università di Berlino è stato  picchiato e ha riportato fratture facciali. “Gli studenti ebrei avvertono da mesi di essere minacciati” scrive la Welt. E il leader degli ebrei tedeschi, Josef Schuster, avverte che ci sono ormai “zone interdette agli ebrei”, fra cui le università. Un gruppo di studenti e attivisti pro-Hamas ha  interrotto una conferenza del giudice della Corte Suprema israeliana Daphne Barak-Erez all’Università Humboldt di Berlino. Il discorso di Barak-Erez è stato trasferito in una stanza più piccola. Mentre le università norvegesi approvavano mozioni di boicottaggio d’Israele, l’Università di Utrecht, la quarta città più grande dell’Olanda, cancellava (e poi lo reintroduceva travolta dalle polemiche) un ciclo di conferenze sull’Olocausto, perché “non può essere garantita la sicurezza dei relatori, degli studenti, degli insegnanti e dei visitatori”. L’università ha capitolato alle minacce dei filo palestinesi. “Il motivo è che vogliamo facilitare un dialogo diversificato ed equilibrato su questo tema” dice il rettore. “Abbiamo bisogno di più tempo per collocare gli eventi del 7 ottobre e successivi in una prospettiva più ampia, con spazio per opinioni e convinzioni diverse”. Ora c’è sempre un contesto, non solo per il 7 ottobre, anche per la Shoah. Una sorta di “momento Harvard” delle università europee, ma peggio, con l’aggiunta della violenza fisica tipica dei nostri atenei dove germinò il brigatismo. E ieri Fania Oz-Salzberger, figlia di Amos Oz, ha scritto: “Ho iniziato a consigliere ai miei studenti, figli e amici di non andare a studiare nelle università americane e inglesi”. 
 

La filosofa Sylviane Agacinski, che ha subito l’ostracismo di una parte della sinistra per la sua difesa della differenza dei sessi contro gli attacchi decostruttivi della teoria del genere, il suo rifiuto della maternità surrogata e la sua critica al velo islamico come sottomissione della donna, nel suo discorso di ingresso all’Accademia di Francia giovedì pomeriggio, ha detto: “Oggi la libertà di pensare, scrivere e parlare è minacciata da piccoli gruppi di attivisti costituiti come nuovi censori”. Opprimono, contestano e alzano le mani in nome degli “spazi sicuri”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.