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cibo in bicicletta

Quel risotto alla Milano-Sanremo

Gino Cervi

Pausa obbligata a Masone per un piatto e qualche brindisi. Perché il ciclismo non è solo biciclette. "All’inizio cucinavamo per 50-60 persone, poi abbiamo superato le 100 e adesso mi sa che siamo quasi 300", ci dice Luigi Belcredi

I pavesi detestano i milanesi fin dai tempi del Barbarossa, quando, al termine del lungo assedio durato nove mesi, dal giugno del 1161 al febbraio dell’anno dopo, insieme agli altri ghibellini lombardi – cremonesi, lodigiani, comaschi – convinsero l’imperatore a radere al suolo la città piuttosto che trattare con clemenza la sua resa. Accontentati dal Barbarossa i pavesi smontarono e si portarono via, pietra dopo pietra, il sestiere di Porta Ticinese. Ancora oggi, se nomini Milano agli abitanti di Pavia – che, nella maggior parte dei casi, a Milano per campare ci vanno a lavorare tutti giorni – ti guardano con un’aria tra il terrorizzato e l’ostile. Ed è con una certa malcelata soddisfazione che in questa incipiente primavera 2024, sulla sponda sinistra del Ticino si fa festa per aver rubato ai milanesi con destrezza la partenza della Milano-Sanremo, che non sarà la chiave di volta dell’antica Porta Ticinese ma è pur sempre un monumento, almeno nel ciclismo. Non che ai milanesi, a dire il vero, pare importasse ormai granché, tanto che l’anno scorso il via venne dato da Abbiategrasso: del resto anche la Parigi-Roubaix da mezzo secolo parte da Compiègne, 60 km a nord-est della capitale francese… Ma non per questo la classica del Nord ha cambiato nome.

Non tutti perà sanno che i pavesi, da quasi trent’anni, si sono già presi un pezzo della Classicissima di Primavera. E se la sono presi “per la gola”. Dalla metà degli anni Novanta, infatti, un intrepido manipolo di assaltatori, armati di pentole e taglieri, mestoli e coltelli, ha piantato le sue poco bellicose tende, tavoli e gazebo a Masone, all’imbocco della salita del Turchino per somministrare a centinaia di suiveur il risotto più buono del World Tour.

Per conoscere la storia di questo ormai celebrato appuntamento ciclo-gastronomico, sono andato a Montalto Pavese, sulle prime colline dell’Oltrepò, e me la sono fatta raccontare dal suo ideatore.

"L’idea mi è venuta intorno alla metà degli anni Novanta, ma non chiedermi la data precisa che non me la ricordo", racconta Luigi Belcredi, 87 anni portati come un giovanotto, di cui 71 passati a far il massulé, il mazzolaio, e far su a migliaia e migliaia di salami, coppe e pancette.

"Il ciclismo in famiglia era di casa. La mia mamma era tifosa di Bartali. Per quasi vent’anni ho gestito il Ristorante Italia, qui in piazza. Ho avuto la fortuna di incrociare lavoro e passione. Nei primi anni Settanta, organizzavamo per la festa del paese, a San Martino, una gara di ciclocross. E siamo riusciti a invitare Franco Vagneur, allora campione italiano, con un ingaggio di 400.000 lire, ma non l’ho mica detto a mia moglie quanto mi è costato... Poi da cosa nasce cosa e grazie all’amicizia che mi legava a Giancarlo Codifava, presidente del Comitato ciclistico regionale lombardo, è arrivata la grande occasione della mia vita".

A Montalto Pavese l’aria buona che fa maturare le uve e fa stagionare i salami è la stessa che ha visto nascere e fatto crescere l’enfant di pays, il campione locale, Pietro Nascimbene, gran bel corridore anni Cinquanta. Di Montalto era pure Carmine Saviotti, produttore di uno dei pochi bianchi amati da Gianni Brera, e su queste colline alla fine degli anni Ottanta è approdato anche Candido Cannavò. Ma andiamo per ordine.

"Codifava sapeva della mia passione ciclistica e mi ha proposto di seguire, come autista della 'Gazzetta', il Giro dilettanti. Era il 1984 ed è stato il mio apprendistato. L’anno dopo, sarà stato in aprile, mentre ero nella vigna sotto casa, mi sento chiamare da mia madre che mi dice che c’è 'un certo Torriani' che mi vuole parlare. Era Marco, il figlio di Vincenzo, il grande patron del Giro, ed era venuto per propormi di fare da autista al seguito. 'Se la sente di stare via un mese intero?', mi chiese. 'Le facciamo un contratto!'. Se me la sentivo?!? Addirittura mi pagavano per fare quello che era sempre stato il mio sogno: il Giro d’Italia! Ho detto subito di sì e la settimana dopo sono partito per la mia prima avventura".

Un’avventura che è durata fino al 2011, ventisette Giri d’Italia a scarrozzare in lungo e in largo i giornalisti della Gazzetta al seguito della corsa rosa. All’inizio fu Luigi Gianoli: "Un gran signore, una cultura sterminata… Un giorno mi chiese, per evitare il traffico, di farmi quasi tutta la Brescia-Bergamo in corsia di emergenza! E io mica potevo dirgli di no…". Poi fu la volta di Claudio Gregori, "che mi ha sempre voluto un gran bene e che mi ha ribattezzato, nella sua lingua forbita, 'l’Auriga'"; e di Marco Pastonesi con cui "non si correva mai il rischio di annoiarsi"; infine Paolo Condò che "mi portava con lui nelle interviste e ogni tanto mi chiedeva se non avevo anch’io qualcosa da chiedere ai corridori… E allora facevo le mie domande".

Fu in quegli anni che Luigi strinse amicizia anche con Candido Cannavò, al punto di diventare suo vicino di casa: "Alla fine degli anni Ottanta, venni a sapere che il Direttore cercava una casa in collina, in Oltrepò. Gliela trovai proprio qui dietro, al Belvedere. E passammo molti anni insieme, anche a pedalare su queste strade. Emanuele Bombini un giorno di regalò due Colnago e noi andavamo a farci dei giri qui intorno: finché c’era da scendere, andava tutto bene. Ma per tornare a casa c’erano le salite. Per fortuna ci veniva a prendere un amico cantoniere che ci caricava, noi e le bici, sul suo furgone Peugeot. Appena si sedeva in macchina, Candido si metteva a cantare Rosamunda…".

Proprio insieme all’amatissimo Direttore della Rosea, Luigi s’inventa il ristoro della Sanremo: "Cercavamo un posto dove vedere passare la corsa e offrire a chi passava sul percorso un assaggio dei salumi dell’Oltrepò. Dopo aver girato un po’ ne abbiamo trovato uno ideale a Masone, all’inizio della salita del Turchino. Uno slargo lungo il corso dello Stura, ideale per parcheggiare le macchine e mettere giù un banchetto. E anche vicino all’autostrada per poter poi risalire in macchina per anticipare per tempo l’arrivo a Sanremo. All’inizio portavamo solo salami e pancette, una specie di degustazione primaverile degli insaccati prodotti in inverno. Poi ci venne l’idea di cucinare il risotto… Era l’anno del centenario della Sanremo, il 2007, e volevamo fare qualcosa di speciale".

E qualcosa di speciale, Luigi e i suoi "compagni di merende" – tra cui Dario Pastorelli, figlio di un giudice di gara, altro prezioso cultore della materia ciclistica nonché arguto poeta in vernacolo montaltese: memorabili i suoi versi dedicati al gugnè, al maiale – l’hanno realizzato in questi anni. Il “ristoro di Masone”, che al risotto ormai abbina, grazie alla cooperazione di altri volontari locali, anche la pasta e fagioli, è diventato un appuntamento amato e ambito da tutti i suiveur della Sanremo.

"All’inizio cucinavamo per 50-60 persone, poi abbiamo superato le 100 e adesso mi sa che siamo quasi 300. Io preparo prima a casa il riso tostato e poi, dalle 10 di mattina, arriviamo sul posto per approntare l’accampamento: dalle 11 siamo pronti a servire chi passa. Facciamo cuocere anche mezzo quintale di cotechino. Tutta roba di mia produzione…".

Luigi Belcredi porta il cognome importante di un potente casato pavese che nel medioevo ergeva torri in città e che a fine Quattrocento venne infeudato del castello di Montalto dal duce di Milano Galeazzo Maria Sforza. Il Luigi però, nel suo ideale stemma araldico, non ha né leoni né aquile imperiali, ma ‘l gugné, nelle ben più nobili fattezze di pancette e cotechini, salami e coppe. Che elargisce con una liberalità assai più degna di un marchese.

"Qualcuno ogni tanto ci prova a dirmi che dovrei chiedere un contributo, un obolo… Ma mi voeui no pasà par vun c’al cata su i sold… Non voglio che mi prendano che per uno che fa la questua. È il mio personale modo per essere riconoscente al ciclismo che mi ha dato tanta felicità nelle vita. E per ricordare il mio amico Candido Cannavò".

Dall’anno scorso, infatti, lo spiazzo di Masone lungo lo Stura dove si accampano Luigi e i suoi amici, è stato intitolato, con la benedizione di Comune e parrocchia e con tanto di targa ufficiale, al mai dimenticato Direttore ed è diventato “Largo Candido Cannavò”.

Per fare il verso a Ivano Fossati – che nessuno mi toglie dall’idea che quando scrisse Questi posti davanti al mare pensava proprio alla Milano-Sanremo – , "fin da Pavia si pensa al mare / fin da Alessandria si sente il mare / poi, improvvisamente, dietro una curva… il risotto". Se venite anche voi a Masone sabato mattina, è gradita una bottiglia da stappare insieme al Luigi e alla sua compagnia dal gugné.

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