La Firenze di Kurt Hamrin

Andrea Trapani

Il fuoriclasse svedese ha giocato alla Juventus, al Padova, al Milan e al Napoli, è stato protagonista con la Nazionale svedese più forte della storia, ma è alla Fiorentina che è stato amato e ha offerto il meglio di sé

Ci sono giocatori che sono patrimonio della memoria collettiva. Gigi Riva l’ha dimostrato nelle scorse settimane, chi l’ha preceduto di una generazione lo sta facendo da ieri: Kurt Hamrin ha giocato in squadre importanti, è un simbolo della propria era, anche se viene ricordato soprattutto per essere stato una bandiera viola per 9 stagioni. Un inchino alla città che viene riconosciuto anche in patria con la federazione svedese che, nel messaggio di commiato, ha messo al pari della sua esperienza in Nazionale proprio la Fiorentina. E dire che ha giocato, con la maglia del proprio paese, una finale mondiale contro il Brasile.

   

Hamrin a Firenze, una scelta di vita

Per capire il legame stretto tra Firenze e il giocatore basti pensare che i funerali si terranno mercoledì, alle 11:30, alla Basilica di San Miniato al Monte, uno dei simboli della città, da dove si può ammirare la storia dall’alto. Un luogo per pochi ma con numerosi significati, non solo religiosi e architettonici, non ultimo il palcoscenico di quell’animo scanzonato, dal retrogusto dolce amaro, che il secondo atto di “Amici miei” ha trasformato nella scenografia della fiorentinità più autentica.

Firenze è così, viverla pienamente è una scelta. Come quella che Hamrin ha fatto insieme alla moglie: un amore a prima vista per una città conosciuta arrivando in auto, una folgorazione tale da aver voluto vivere per sempre a Coverciano. Un quartiere con i propri negozi, una vita tranquilla, il contrario di una carriera piena di partite e di sfide.

Non è necessario essere fiorentini per conoscere i suoi record, alcuni quasi imbattibili come i cinque gol in trasferta in una sola partita, o per sapere che tra lui e Batistuta c’è stato uno dei più avvincenti testa a testa per il primato di miglior bomber della storia viola. Insomma, ancora oggi il suo mito è legato a numeri e statistiche che si tramandano di padre in figlio, tuttora rappresenta per intere generazioni il collante tra il passato e il presente di una storia senza fine come il calcio.

 

La normalità di un campione

Molti campioni hanno vissuto con grande difficoltà la propria popolarità, come se le luci della ribalta portassero con se una vita privata piena di tormenti. Un equilibrio difficile, ma non per tutti. Hamrin è stato capace di un’impresa in entrambi gli ambiti, ha scalato la mobilità sociale del dopoguerra, duro anche nella ricca Svezia, iniziando a lavorare a soli 14 anni per avvicinarsi a fare quel che amava di più: giocare a calcio. A Stoccolma viveva a pochi passi dallo stadio dell’Aik dove ha iniziato a imparare quel che sarebbe diventato il suo mestiere. Non tutto è stato facile, anche in Italia ha dovuto faticare: era partito dal gradino più alto, la Juventus, per passare da Padova prima di trovare a Firenze la propria dimensione. La Coppa dei Campioni l’ha vinta a Milano, in rossonero, ma è in riva all’Arno dove Pelé corse ad abbracciarlo durante la sua luna di miele. Un gesto semplice quanto banale, ma figlio di un’epoca in cui due fuoriclasse potevano tranquillamente passeggiare per Piazza della Repubblica. Storie che lo stesso Hamrin amava raccontare, come se salutare alla pari il più grande calciatore di tutti i tempi fosse uno dei tanti aneddoti di una vita normale. Forse voleva fare proprio questo: dimostrarci che si può essere straordinari vivendo la propria quotidianità.

Non mancano i racconti di coloro che ricordano di averlo conosciuto in vesti borghesi, magari in vacanza, come qualsiasi altro fiorentino. Lui, un mito, più uguale di tutti: l’estate in Versilia, gli amici in ogni angolo della città, i lunghi viaggi in auto verso la Svezia per far visita agli affetti della gioventù. Niente di tutto ciò oggi sarebbe abituale per un calciatore di medio livello, invece per lui era la prassi. Aveva lasciato una speranza per un’altra storia da raccontare: Hamrin era tra coloro che - alla Settignanese - avevano notato la classe di un bambino straordinario come Federico Chiesa, un altro giocatore che Firenze era pronta ad amare. La storia è finita diversamente, solo Giancarlo Antognoni ha seguito le orme di Kurt Hamrin. È un calcio che non permette più di rimanere legati per sempre, lo sanno tutti, per questo la città ha adottato questo svedese dai piedi fatati.

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