Jannik Sinner

La polemica

La concorrenza dei paradisi fiscali alla Montecarlo dice poco su Sinner e molto su due ipocrisie dell'Italia

Serena Sileoni  Carlo Stagnaro

Trovare un ambiente adatto a coltivare le proprie capacità è un elemento essenziale della vita di uno sportivo professionista. Ecco perché prendersela con il campione degli Australian Open è inutile

Abbiamo davvero il diritto di criticare Jannik Sinner perché residente a Montecarlo? Prima di esibire un orgoglio patriottico offeso, dovremmo chiederci quale è il punto di partenza di una vicenda che, dopo averci visti tutti uniti sotto il suo podio a prenderci nazionalisticamente i meriti suoi, ci vede divisi a giudicare le sue scelte di vita. Sinner è un giocatore professionista, prima di tutto, né ci risulta si sia mai arrogato la pretesa di rappresentare l’unità nazionale. Certo, l’ha esibita, certo, ha accolto l’invito di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, ma più – pare – per correttezza istituzionale che non per attivismo sciovinistico. Se così è, l’orgoglio della sua italianità è più di chi ne festeggia le vittorie come fossero un successo collettivo, che non suo.


Se questo basta a rendere la polemica sulla residenza fiscale di Sinner sbagliata in partenza, ci sono altre ragioni per ritenerla sbagliata nel merito. Il campione ha spiegato che “la cosa più bella di Monaco è che ci sono tanti giocatori con cui ti puoi allenare, strutture perfette, diverse palestre, campi buoni, mi sento a casa, sto bene lì, ho una vita normale, posso andare al supermercato senza problemi”. Trovare un ambiente – umano e infrastrutturale – adatto a coltivare le proprie capacità e all’altezza delle proprie ambizioni è un elemento essenziale della vita di uno sportivo professionista. Non diversamente da quanto è essenziale per un’azienda avere un ambiente favorevole – per regole, infrastrutture, capitale immateriale, condizioni fiscali – all’impresa economica; o per un lavoratore un impiego dignitoso. Le persone, fisiche e giuridiche, si spostano dove le condizioni sono migliori, e tanto più lo fanno quanto più provengono da situazioni periferiche, piccole, meno attrezzate. 


Senza dubbio ai campioni che scelgono Monaco o luoghi simili non dispiace pagare meno tasse e, a parità di servizi sportivi offerti, danno anche un peso a come l’erario li tratta. Essere nato in Italia non comporta particolari obblighi né dà luogo ad alcuna pretesa o diritto dell’Italia nei suoi confronti. Andarsene non è segno di un “malcostume diffuso” (come ha detto Aldo Cazzullo) ma semplicemente l’esercizio di un basilare diritto a trasferirsi dove si vuole e dove si è voluti. Chi ritiene il contrario e punta il dito contro chi, come Sinner, ha deciso di votare con i piedi dovrebbe tenere in considerazione due questioni.


La prima è che l’emigrazione fiscale è un freno alla voracità di quegli stati che, chiamando paradisi fiscali gli altri, definiscono se stessi inferni. La seconda è che prima di condannare i regimi fiscali altrui come sirene dal bel canto dovremmo ricordarci che anche il nostro sistema fiscale ha tentato e tenta continuamente di trasformarsi da pescecane a sirena. Fuor di metafora, l’Italia ha nel proprio sistema tributario svariati (e iniqui) privilegi nati proprio per attirare i soggetti ad alto reddito: dagli incentivi per il rientro dei cervelli alla cosiddetta flat tax (l’imposta forfettaria da 100 mila euro per i paperoni che si trasferiscono in Italia), il nostro fisco non si fa mancare nulla, e ha nei confronti dei milionari un atteggiamento opposto rispetto a quello, truce, che usualmente manifesta verso le persone e le aziende normali. Ed è proprio questa la chiave per capire quello che manca all’Italia: un pizzico di normalità, cioè la disposizione a trattare i contribuenti da esseri umani e a riconoscere che ciascuno fa le proprie scelte sulla base di molteplici motivi.

Come nei rapporti interpersonali, è buona norma mettersi allo specchio prima di giudicare i regimi fiscali altrui. Se l’Italia vuole soffrire un po’ meno la concorrenza di Montecarlo – e attirare non tanto i Sinner, che forse andrebbero lì comunque, ma i Brambilla, i Parodi e i Caputo – allora dovrebbe forse smettere di costruire pacchetti fiscali straordinariamente convenienti per pochi fortunati, calpestando gli altri. Dovrebbe cioè sforzarsi di restituire un poco di coerenza e razionalità al nostro sistema tributario. Se tutto ciò non accade, non è colpa del principe di Montecarlo: è solo, sempre e unicamente colpa nostra.

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