Erbstein (primo a destra) in una foto con i suoi giocatori del Grande Torino 

il giorno della memoria

Ernő Egri Erbstein sfuggì alla Shoah e incontrò il fato a Superga

Francesco Caremani

“Aveva una luce speciale, è stato lui a fare la differenza per la Lucchese prima e il Grande Torino dopo. Sapeva trasmettere la sua energia ai giocatori". Parla lo scrittore Flavio Pieranni

Destino, memoria, fedeltà. Se c’è una squadra che può racchiudere insieme questi concetti sicuramente è il Grande Torino, lì dove per fedeltà s’intende quella a una scala di valori non negoziabili, scolpiti sulla collina di Superga. E quando la storia sportiva s’intreccia con quella più grande, nel Giorno della Memoria, una figura si erge sopra tutte le altre, quella di Ernő Egri Erbstein, calciatore e allenatore ungherese morto il 4 maggio del 1949, dopo essere scampato alla Shoah.

“È stato il Gran Maestro, passatemi il termine, dei cinque scudetti consecutivi e dell’epopea del Grande Torino”, ricorda Flavio Pieranni, autore di otto libri ‘granata’ per Bradipolibri, l’ultimo L’enigmistica degli invincibili. Il Grande Torino da risolvere, scritto a quattro mani con Giulia Tedesco, enigmista. “Frequentando il Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata ho avuto modo di leggere gli appunti di Erbstein, scoprendo un tecnico avanti trent’anni. Studiava l’alimentazione e la preparazione atletica di ogni singolo giocatore, era un uomo di calcio illuminato. E durante la Seconda guerra mondiale s’incontrava clandestinamente con Ferruccio Novo in giro per l’Europa”.

Con l’avvento in Italia delle leggi razziali fasciste scappa da Lucca, dove allenava i rossoneri, per rifugiare a Torino, ma dopo una stagione decide di lasciare il paese, grazie allo scambio di allenatori tra Feyenoord e Torino: Ignác Molnár in granata ed Erbstein in biancorosso; ma Ernő non arriverà mai in Olanda, occupata dai nazisti. Passa alcuni mesi in Germania e, ancora una volta, è Ferruccio Novo ad aiutarlo a riparare a Budapest dove vivevano alcuni parenti, tra cui il fratello, portando in salvo la famiglia.

“Il fratello commerciava nell’abbigliamento e, sempre grazie alla collaborazione con Novo, Erbstein ottiene un lavoro presso una ditta tessile della provincia di Biella, cosa che gli permette di tornare in Italia più volte – dopo avere cambiato il cognome in Egri, per renderlo simile a quelli italiani – E in questo periodo riesce, anche se clandestinamente, a collaborare con il Torino, suggerendo l’acquisto, tra gli altri, di Valentino Mazzola ed Ezio Loik, riuscendo a incontrarsi con Ferruccio Novo a Venezia piuttosto che a Budapest. Lì, tra il 1944 e il 1945, se la vide brutta perché i nazisti intensificarono le rappresaglie con l’avanzata dell’Armata Rossa”.

Finita la guerra torna a Torino, dove ancora oggi vive la figlia, Susanna Egri, ballerina e coreografa. Qui finisce il lavoro che aveva iniziato con la squadra granata: “Quello che pochi ricordano è che nel 1947 fu accusato di essere una spia comunista. L’11 maggio del 1947 si gioca a Torino Italia-Ungheria, partita che gli azzurri vinsero 3-2, con il record di 10 giocatori granata più Sentimenti IV, portiere della Juventus. Erbstein, essendo ungherese, aveva aiutato i connazionali a trovare una sistemazione per la trasferta e da lì partì l’accusa. Accusa che lui in prima persona e Raf Vallone da giornalista de l’Unità – era caporedattore delle pagine culturali – riuscirono a smontare pezzo per pezzo”.

Poi, il 4 maggio del 1949, nel momento di maggiore gloria del Grande Torino e dei suoi protagonisti la tragedia di Superga, dove Ernő Egri Erbstein muore dopo essere scampato alle leggi razziali, alle persecuzioni e alle rappresaglie naziste.

“Aveva una luce speciale, è stato lui a fare la differenza per la Lucchese prima e il Grande Torino dopo. Sapeva trasmettere la sua energia ai giocatori, creare unità di anime. Mio padre era un umanista, un filosofo, un uomo giusto: per questo è stato un grande allenatore”, ha ricordato la figlia Susanna Egri, ballerina nei teatri di Parigi e Firenze alla fine degli anni Quaranta e la prima danzatrice della storia a esibirsi, il 3 gennaio 1954, nella trasmissione ufficiale della Rai, che nel 2019 gli ha dedicato una biografia.

Arthur Schopenhauer soleva dire che “Il destino mescola le carte e noi giochiamo”, parole che racchiudono perfettamente la vita e la morte di Ernő Egri Erbstein, capace di intuizioni e scelte che hanno salvato la sua famiglia dalla Shoah, le stesse intuizioni e le stesse scelte che poi lo hanno fatto passare alla storia tra gli immortali.