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Crocicchi #19

Quel feuilleton cinematografico di Inter-Verona

Enrico Veronese

La vittoria dei nerazzurri li mantiene al comando della Serie A, ma quella contro i veronesi potrebbe essere effimera, se non di Pirro

“C’era una volta a San Siro”, luci in sala. Non è questo il luogo per protrarre polemiche pur legittime: qualcuno dirà che l’Hellas Verona è destinato a fallire, se non a retrocedere, e quindi a pochi potrebbe interessare di salvarlo. Con buona pace di altre squadre, che ci hanno perso punti contro, o ne perderanno. Qui si parla di cinema, il grande film del gioco del calcio: in ogni opera d’arte che si rispetti – come minimo – c’è tutto, pathos e Rocambole, villain e idealtipo, Golia e Davide in testacoda, pentimento con scuse e riscatto. Che feuilleton, Inter-Verona: antico gemellaggio sbrecciato, tressette a perdere, occhio non vede, censura, forse compensazione. E una sceneggiatura kolossale che da sempre dice di chiudere la partita, altrimenti la si paga.

Resterà la banda dei cinque, i cattivi che sbagliano: Marko Arnautovic, prima riabilitato poi di nuovo all’inferno. È lo stesso di Bologna, o è un ex giocatore? Thomas Henry, che fa a sportellate col ginocchio e strozza il rigore, condannato dalla gogna dei network mentre stava per rovinare il piano perfetto. E chissà se a Marco Baroni balenerà l’idea di affiancarlo dall’inizio a Milan Ðurić, dando un senso al calcio vecchio stile. I soliti sospetti coinvolgono Alessandro Bastoni: senza la gomitata avrebbe colpito la traversa? Infine Federico Dimarco e Francesco Acerbi, neanche al campetto preadolescenziale umiliano il malcapitato gialloblu, esultandogli in faccia.

Girandola come si vuole, lo spettatore al botteghino sa che quanto accaduto ai nerazzurri porterà loro più discredito che a Chiara Ferragni: tanto che la spropositata esultanza da finale di Champions League allo scampato pericolo può essere effimera, se non di Pirro. Già, perché agli albori del 2024 è evidente che la reputation di una società quotata in Borsa vale tanto quanto i titoli sportivi: specie per come reagiscono gli azionisti. Il sentiment è impietoso, il momentum è da coalizione prendi-tutto a detronizzare le ambizioni di Giuseppe Marotta.

Servisse uno spin doctor, la sua comunicazione di crisi nel damage control guarderebbe alle buone pratiche d’altrove: per qualche domenica, il Milan si sta reggendo inopinatamente sopra gli inediti Chaka Traoré, Álex Jimenez, Davide Bartesaghi, lo stesso Matteo Gabbia, senza contare Jan Carlo Šimić e Kevin Zeroli. Alla faccia della prosopopea automediatica riguardo Zlatan Ibrahimovic – fosse merito suo e non di chi si allena e gioca – il terzo posto con vista libera nella prossima Champions League porta le firme di chi nel Novecento non c’era. O se c’era, poppava.

Come il baby Milan, pure la baby Juventus sfodera nomi nuovi a profusione: e ne ha così tanti da potersi permettere di prestare Dean Huijsen alla Roma dopo soli dieci minuti di Serie A. Ma intanto si gode il ritrovato Samuel Iling-Junior, il mezzo fenomeno Kenan Yildiz, Joseph Nonge che sarà il prossimo, considerando Fabio Miretti e Andrea Cambiaso già rodati e adulti. Senza contare Matías Soulé ed Enzo Barrenechea che rifulgono a Frosinone, assieme a Kaio Jorge: gli esiti, allo Stadium come allo Stirpe, sono sotto gli occhi di tutti.

Ecco allora cosa potrebbe fare Simone Inzaghi: attingere da un settore giovanile che negli ultimi anni ha vinto moltissimo in tutte le categorie, disperdendo talenti in giro (vedi il rientro del cervello Gaetano Oristanio dall’oblio olandese) senza finora riuscire a valorizzarli in casa, se non quali cavalli di ritorno come lo stesso Dimarco. Certo, rimane difficile inserirli in un meccanismo talmente rodato e colmo di giocatori ai vertici dei rispettivi ruoli, ma almeno in attacco – dove la coperta è corta – il lancio di qualche Duemila dalla Primavera potrebbe essere fattibile, in campionato o nei trofei infrasettimanali: renderebbe mica meno di questo Arnautovic, o di Alexis Sánchez… In Europa funziona così. E forse, il giocattolo di Suning ne guadagnerebbe anche in simpatia.

Usciti dalle due ore di cappa e spada nel grande schermo, il buio rivale ha in serbo un altro dilemma: cosa sarebbe accaduto a Salerno se l’arbitro Marco Guida, fresca élite Uefa, non avesse ritenuto di ammonire per la seconda volta Giulio Maggiore, goleador di giornata mentre coi suoi compagni conduceva 1-0? Forse la Juve avrebbe vinto lo stesso in undici contro undici, forse no: fatto sta che l’inerzia del match è cambiata proprio in quel momento, dando ali ai bianconeri e spingendoli a profondere ogni energia per rimanere nella scia antagonista dell’Inter.

Come Dušan Vlahović e Davide Frattesi, anche Lorenzo De Silvestri a Bologna ha deciso l’incontro dopo il 90° minuto, principe dei crocicchi, mentre analogo exploit non è riuscito alla Roma in forcing. È improvvisamente terminato prima del tempo il gran periodo di Bologna e Frosinone? I segnali sono contrastanti: non per l’italianissimo Monza d’altri tempi, poco hype dopo i fuochi d’artificio del calciomercato 2022 e tanto figlio del suo allenatore Raffaele Palladino, che presto farà sicuramente il salto. All’Empoli invece difetta tremendamente il Tommaso Baldanzi dell’anno scorso, quando risolveva le partite da solo come un novello Giancarlo Antognoni: la delusione per la mancata partenza estiva non si è ancora trasformata nella molla per sfoderare prestazioni di livello Nazionale.

Gli ci vorrebbe, ma è questione d’età, la soggezione che l’ego di José Mourinho continua ad incutere negli arbitri, i quali anche quando lo espellono vanno a spiegare le proprie decisioni (un ammonito giallorosso, sei dell’Atalanta nell’OK Corral) come non fanno con alcun altro allenatore, titolato o meno: quando si dice essere dominanti e soprattutto rispettati a prescindere, attori da Golden Globe per cui si paga il prezzo del biglietto indipendentemente dal film.

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