Zlatan Ibrahimovic nel giorno dell'addio al calcio (foto LaPresse)

Serie A

Zlatan Ibrahimovic, il re taumaturgo del Milan

Giovanni Battistuzzi

Il proprietario dei rossoneri vorrebbe riportare lo svedese in rossonero. Nella Milano milanista è da diversi anni che funziona così: se qualcosa non va si spera sempre nel grande guaritore

Cambiano i presidenti e gli allenatori, i dirigenti e i contesti, eppure, da un po' di anni a questa parte, quando al Milan le impalcature iniziano a scricchiolare e le crepe si iniziano a vedere a San Siro, ecco che inizia la processione verso colui che tutto può, o quantomeno sembra potere. Casa Milan è un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, una realtà dove ancora sopravvivono certe certezze assolute che sembravano essersi perse nel corso dei secoli. È come ritornare all'anno mille, in Francia. La scena è la stessa: gli uomini si mettono in fila e procedono a capo chino verso Roberto II il Pio a chiedere quello che da soli non possono fare. C'è da debellare un problema e solo il re taumaturgo lo può fare. Ciò che riusciva a Roberto II il Pio nella Francia del regno capetingio, nella Milano rossonera riesce, è riuscito, a Zlatan Ibrahimovic, il re taumaturgo milanista.

Zlatan Ibrahimovic risolve i problemi, ma non è un mister Wolf. Sarebbe riduttivo per l'ex centravanti svedese. D'altra parte l'Italia non è l'America di Tarantino, non ha la stessa violenza e nemmeno lo stesso efferato cinismo. C'è sempre qualcosa di velatamente mistico nel paese, un richiamo al non per forza terreno. È anche per questo che l'autonarrazione di Zlatan Ibrahimovic ha avuto tanto successo qui da noi. Non c'è nessuno all'estero che ha preso davvero sul serio il suo continuo e costante avvicinarsi a Dio, in Italia invece c'è chi l'ha presa per buona. Magari non a parole, magari non ci ha mai creduto davvero, ma quantomeno il dubbio in qualcuno è rimasto. Soprattutto nei suoi compagni di squadra. Ibrahimovic non è mai stato sovrumano, ma il solo dirlo, continuare a ripeterlo, ha convinto chi gli stava vicino tutti i giorni che ciò non potesse essere negato a priori. La Milano rossonera – sia essa composta da tifosi o da dirigenti, assistenti, consulenti, inservienti e calciatori – in fondo non s'è mai domandata realmente se quanto diceva Zlatan Ibrahimovic fosse falso. Perché per la Milano rossonera un uomo capace di trasformare Antonio Nocerino in un centrocampista da dieci gol a stagione, Kevin-Prince Boateng in un centrocampista da una trentina di milioni di euro, Ante Rebic in un attaccante che segna, Samu Castillejo in un esterno concreto, rianimare Robinho, togliere di dosso il torpore a Rafael Leão e far correre Antonio Cassano, qualche potere ce lo deve per forza avere.

Il primo Zlatan Ibrahimovic, quello dello scudetto del 2010-2011, Gerry Cardinale non se l'è goduto, gli era ancora nemmeno venuta in mente l'idea che un giorno avrebbe creato una società di gestione degli investimenti, figurarsi quella di investire nel mondo del calcio. Il secondo Zlatan Ibrahimovic invece Gerry Cardinale se l'è gustato poco. Lo svedese aveva qualche anno di troppo, in campo aveva ancora da insegnare a molti a calciare un pallone, ma aveva già perso la capacità di dominare in un campo di gioco spazi e avversari. Eppure la sola presenza in spogliatoio di Zlatan Ibrahimovic riusciva a dare a quella squadra, che Gerry Cardinale (e soci) comprò dal fondo statunitense Elliott, la convinzione e la sicurezza di poter in qualche modo farcela.

Ed è quello che Gerry Cardinale vorrebbe rivedere. Perché, pensa il proprietario del Milan, ora che la squadra è più forte di allora, che è stata rinforzata con pure un esborso di milioni non di poco conto, non si può ritrovare ad avere paura di avversari che più forti non lo sono davvero, ma hanno solo più grinta, più coraggio, più faccia tosta. E sa benissimo Gerry Cardinale che tutto questo – più grinta, più coraggio, più faccia tosta – non la può chiedere a Stefano Pioli o a qualcuno che al Milan già c'è. Sono tutte qualità che ce le aveva chi c'era e ora non c'è più. E per infonderle ai giocatori non servono allenamenti o sedute di psicologia collettiva, serve l'imposizione delle mani, l'arte taumaturgica di Zlatan Ibrahimovic. E la speranza che tutto questo abbia effetto.

Gerry Cardinale ha visto Zlatan Ibrahimovic a Milano, lo rivedrà, lo vuole in società. Va solo trovato un ruolo, qualcosa di nuovo che prima non c'era e tra un po' ci sarà. Poi la grande guarigione potrà avere inizio. Forse.

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