(foto EPA)

L'imperatore

Ceferin annuncia battaglia, ma ora deve contare gli amici e guardarsi dai nemici

Umberto Zapelloni

Il capo dell’Uefa vede riapparire lo spettro Superlega. Per adesso si mostra spavaldo, ma sa che presto potrebbe essere messa in discussione la sua tenuta sul calcio europeo

Milano. Aleksander Ceferin crede di essere ancora l’imperatore del calcio europeo. Raduna attorno a sé i suoi alleati e si rinchiude in una fortezza fondata solo su enormi quantità di denaro. Annuncia battaglia, come quando da ragazzo in Slovenia indossava la cintura nera da karateka sul tatami. La sentenza della Corte di giustizia europea annuncia una rivoluzione che potrebbe stravolgere il calcio come capitò una trentina di anni fa con la legge Bosman, ma lui continua a ripetere: “Il calcio non è in vendita, nulla potrà cambiarlo”. Lo dice facendosi spalleggiare da al Khelaifi, il presidente del Psg, ma soprattutto il numero uno dell’Eca (European club association), l’associazione che raduna quasi 500 club europei. Dicono che ormai sia lui il vero padrone del calcio europeo e che Ceferin non muova un passo senza il suo consenso. Faceva così anche con Andrea Agnelli quando l’ex presidente bianconero occupava anche quel posto. Era addirittura stato il padrino della figlia di Andrea e della sua seconda moglie. Sappiamo come è andata a finire. Ceferin ha bisogno di alleati importanti. Da solo non può governare il calcio europeo.

 

“Ceferin chi?”. Furono in molti a farsi questa domanda quando il 14 settembre 2016 fu eletto alla presidenza dell’Uefa, settimo e più giovane numero uno del calcio europeo, subito dopo Michel Platini travolto dal famoso scandalo. Arrivava dal nulla, ma evidentemente sapeva come muoversi visto che, scagliandosi contro l’accordo appena raggiunto tra l’Uefa e l’Eca, aveva totalizzato 42 voti su 55, incassando anche il supporto dell’Italia che allora era rappresentata da Carlo Tavecchio. Si era travestito da Robin Hood difendendo le piccole federazioni e i piccoli club. Dopo due rielezioni per acclamazione e senza avversari (nel 2019 a Roma e nel 2023 a Lisbona), rieccolo qui alle prese con l’eterno problema di un calcio che cerca ogni strada per diventare sempre più ricco. Ceferin, che ha appena compiuto 56 anni,  è un Robin Hood sui generis perché alla fine lui toglie soldi a tutti per arricchire sempre di più l’Uefa, un carrozzone da quasi 600 dipendenti, la metà dei quali secondo gli avversari è inutile, anche perché nel fine settimana vanno tutti a casa. Quando il calcio gioca in tutta Europa, l’Uefa chiude per il weekend. Bizzarro no?

 

Alla poltronissima Uefa era arrivato dalla piccola Slovenia di cui era stato presidente federale dal 2001, dopo aver cominciato a occuparsi di sport nello studio legale di famiglia. Sulla sua carriera sportiva, anni dopo la sua elezione all’Uefa, sono usciti un po’ di scheletri. Aveva sostenuto di aver fatto parte del comitato esecutivo della lega calcistica slovena, per cinque anni nella squadra dell’Olimpija, un requisito obbligatorio per diventare numero uno della federazione, ma un’inchiesta giornalistica slovena aveva messo in dubbio il suo passato. Ma quello di finire sotto inchiesta è un suo classico. A settembre il Guardian lo ha accusato di aver manipolato la ricostruzione di quanto accaduto prima della finale di Champions  cominciata con grande ritardo. Secondo gli inglesi lo ha fatto per proteggere Zeljko Pavlica, sloveno come lui, suo migliore amico e capo dell’unità di sicurezza del governo del calcio europeo, nell’inchiesta che la stessa Uefa ha aperto sui fatti di quella sera.

 

Ma che a lui piaccia favorire i suoi connazionali non è una novità: guardate gli arbitri sloveni, non hanno mai arbitrato così tante partite importanti in Europa come da quando c’è lui. Ma se sei in una posizione come la sua, sai che ti attaccheranno da ogni parte. La Superlega era un fantasma che pensava di aver scacciato grazie anche alla rivolta di club, tifosi, governi e leghe nazionali. La Corte di giustizia della Ue gliela ha rimessa di fronte aprendo a chiunque la possibilità di organizzare un torneo europeo. Una sentenza che ha liberalizzato il calcio riempiendo di incertezza il futuro con le ambizioni di A22 Sports che ha già presentato la sua formula, ma con la possibilità che si presenti presto una minaccia araba. Lui ha arroccato difendendosi tra le mura del suo castello. Eppure ha sempre raccontato di amare il deserto del Sahara e di averlo attraversato quattro volte in auto e una in moto. Oggi non ne avrebbe il tempo, deve contare gli amici e guardarsi dai nemici.

A parole, ha dalla sua i grandi club europei e le federazioni e le leghe più importanti. “Non vedo l’ora che la Superlega cominci il suo magnifico torneo con le sue due squadre”, dice alludendo a Real e Barcellona, le uniche a essere uscite allo scoperto fiancheggiando il progetto della nuova Superlega. Ma probabilmente ha intuito che non sarà una passeggiata perché quando in ballo ci sono fiumi di denaro chiunque potrà fare il voltagabbana. Intanto ha già fatto riapparire dall’esilio olandese Andrea Agnelli che ha postato su X una canzone degli U2 (“Where the streets have no name”) con un commento “Fino alla fine…”, che dice tutto.

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