Il Foglio sportivo

Il doppio Messina per l'Olimpia Milano del futuro

Umberto Zapelloni

“Ad Armani e Dell’Orco ho chiesto se dovevo farmi da parte: mi hanno detto di tornare a vincere”. Parla il presidente-allenatore della squadra di basket di Milano

Andando a pranzo con il presidente e il coach dell’Olimpia Milano si risparmia un coperto. Ed è proprio dall’unione dei due ruoli che parte la chiacchierata tra Ettore Messina e chi, come il Foglio Sportivo e il Corriere della Sera, aveva criticato il suo doppio incarico. “Quando la proprietà, Giorgio Armani e Leo Dell’Orco, mi ha chiamato, la prima urgenza affrontata è stata l’organizzazione societaria e tecnica. Ho spiegato come si sarebbe dovuto fare, anche perché non erano soddisfatti: troppe decisioni, molte scelte, rivelavano un po’ di confusione. Ma è inutile fare polemica sul passato, non è mia intenzione. Quello che mi ha chiesto la proprietà è di dare stabilità. Di non cambiare rotta dopo ogni stagione. E mi sembra che le cose stiano funzionando perché dal 2019 ormai il progetto è chiaro e abbiamo vinto due scudetti, tornando dopo tanti anni alle Final Four di Eurolega. Quello che voglio dire è che il mio doppio ruolo è nato da una scelta fatta in armonia con la proprietà”.

Un doppio ruolo di cui Messina sostiene a oltranza la necessità: “Io sono sempre lo stesso Messina di Madrid o Mosca. Il mio lavoro non è cambiato anche se all’Olimpia ho pure l’incarico di presidente delle basketball operations. Le etichette non mi interessano, quello che conta è che sia io a scegliere i giocatori che poi devo allenare. Voi pensate che non fosse Peterson a scegliere i suoi giocatori? Che fosse un grande general manager come Cappellari? No, era Dan. E così funziona nelle altre squadre di Eurolega. Non va bene l’etichetta, presidente-allenatore? Non piace alla critica? La cosa importante è che le scelte tecniche, dopo attenta valutazione, competano a me. E non è vero che manca un confronto dialettico interno. Io non mi occupo certo di contratti, di stipendi, c’è Stavropoulos, il nostro general manager, che ha una grande esperienza internazionale…”.

Ma allora dove sta il problema? Perché l’Olimpia costruita come una Ferrari (di quelle che vincevano) in pista sembra una 500. “Alla base di quest’inizio di stagione al di sotto delle attese c’è un peccato originale – confessa Messina – Non abbiamo il pilota adatto per la nostra auto. Pangos non è l’uomo che può far giocare questa squadra e io non ho ancora trovato i correttivi giusti provando a semplificare il gioco, facendolo passare di più da due lunghi come Melli e Voigtmann che sono dei buoni passatori. Con un gioco più semplice perderemmo meno palloni, cosa che ci è costata tante sconfitte. Ammetto di aver sbagliato io la scelta, forse dovevo capirlo quando in America è passato dall’essere il secondo play di Cleveland a finire fuori squadra. L’anno scorso con Napier abbiamo risolto la situazione a stagione in corso vincendo poi lo scudetto, ma quest’estate dopo averci detto che sarebbe rimasto ha alzato ancora le pretese. Eravamo già arrivati a offrirgli il triplo del suo ingaggio iniziale. Di più non potevamo fare e adesso lui continua mandare messaggi ai suoi amici dicendo che vorrebbe tornare. Il merito di Napier è stato quello di aver cambiato la personalità alla squadra”. Aspettando un nuovo innesto, anche se il mercato è fermo e dagli Usa non arrivano più uomini in grado di cambiare una squadra, c’è un solo modo di affrontare la situazione: “Parlando molto, discutendo con i giocatori, là dove c’è più bisogno”. Messina è preoccupato, ma non preoccupatissimo. È sereno, convinto di poter svoltare. Qualche segnale positivo è arrivato contro il Valencia battuto di 31 punti. “Sto affrontando il problema, ho un alto senso di responsabilità. Da una parte mi motiva, dall’altra mi fa soffrire. L’anno scorso con dieci sconfitte consecutive è stato peggio, ma con i dovuti cambiamenti siamo riusciti a sistemare e risolvere i nostri problemi nel migliore dei modi e a vincere lo scudetto”. Confessa però di essersi già messo in discussione: “A inizio settimana sono andato da Giorgio Armani e Leo Dell’Orco a chiedere se volevano mi facessi da parte visti i risultati. Il signor Armani mi ha detto: ‘Vai a lavorare’. Il signor Dell’Orco mi ha detto: ‘Torniamo a vincere’. Io ho una grande riconoscenza nei loro confronti e non voglio deluderli”. Così come ce l’ha nel pubblico che è arrivato a fischiare la squadra: “Capisco i tifosi che ci fischiano perché vorrebbero vincere sempre. Ma so anche il nostro pubblico è importantissimo. Nelle finali scudetto di due anni fa e dello scorso anno ci ha davvero dato una carica eccezionale. Sentivi la loro spinta. Sta a noi meritarci ancora il loro supporto. Ho grande riconoscenza per i nostri tifosi. Non nego che una carezza in più mi farebbe piacere”. I fischi non può evitarli, può solo cercare di trasformarli in applausi. Gli attacchi social, invece, prova ad ignorarli: “I social hanno un ruolo importante dal punto di vista critico: sei sotto attacco. Cerco di evitarli, anche perché spesso sono attacchi anonimi. Ammetto, che quando leggo, ci soffro, ma se penso che sui social viene criticata, attaccata, minacciata una donna come Liliana Segre, scusate l’accostamento, cerco di riportare il tutto alla giusta dimensione. Bado di più alle critiche che fanno riflettere”.

L’Olimpia ha uno dei budget top del basket europeo. Ma non è un pozzo senza fondo: “Il nostro budget non è illimitato. È rimasto lo stesso delle ultime stagioni di Pianigiani a cui sono stati aggiunti due regali personali del signor Armani. Prima Melli che per lui rappresenta tanto perché era un ragazzo del suo primo scudetto, poi Mirotic perché ha visto nel suo ingaggio la possibilità di portare a Milano una stella. Mirotic vuole essere un po’ il suo McAdoo”. Nikola Mirotic è una stella del basket. Un uomo che ha sempre fatto la differenza pur non essendo un trascinatore. “L’arrivo di Mirotic ha cambiato un po’ gli equilibri e magari qualcuno inconsciamente ha cominciato a pensare tanto tocca a lui risolvere tutto. Lui stesso ha trovato una situazione più difficile di quella che credeva. È un grandissimo attaccante, ma in difesa va aiutato. E in qualche partita non è successo. Avete visto una squadra disunita in difesa al contrario di quello che è sempre successo con le mie squadre. Con il Maccabi abbiamo toccato il fondo, ma poi abbiamo rivisto qualche segnale. Non è che non difendiamo mai, in qualche occasione ci riusciamo, quindi è più un problema mentale che tecnico”. Presidente e allenatore sono d’accordo.  

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