Il Foglio sportivo

Filippo Tortu ci racconta la staffetta della felicità

Fausto Narducci

“Non cambio allenatore, con papà mi trovo bene, anche come figlio”, ci dice l'atleta azzurro campione olimpico

A Budapest, nei Mondiali di atletica, lo abbiamo visto piangere (in senso metaforico) e ridere (in senso materiale, praticamente in ogni momento trascorso con i compagni di staffetta), crollare nella polvere di una devastante eliminazione in batteria nella gara individuale dei 200 e poi risollevarsi sull’altare dell’argento in staffetta, altrettanto imprevedibile per come era andata la stagione. Soprattutto a 25 anni abbiamo notato la maturità di Filippo Tortu nel gestire i momenti contrastanti della partecipazione a una grande rassegna (ancora più altalenante di quanto era stata la sua Olimpiade di Tokyo con l’eliminazione individuale in semifinale e l’oro in staffetta). Papà Salvino, che è anche l’allenatore, la sintetizza così: “Filippo anche stavolta è sceso negli inferi ed è riuscito a uscirne. Ma la staffetta ci ha dato la gioia più bella del mondo e siamo felici perché è questa l’atletica che piace la gente. Non dimentichiamo che a Grosseto Filippo si è rotto una spalla per l’esultanza dopo aver messo in cassaforte il minimo dei Mondiali. Se non è spirito di squadra questo”.

La staffetta d’oro di Tokyo, dopo aver tribolato per un anno e mezzo, ha messo il sigillo d’argento a un Mondiale in cui l’Italia ha ottenuto il miglior risultato globale degli ultimi 24 anni e in ultima frazione c’è ancora lui, l’ex enfant prodige brianzolo.

 

Allora Filippo, anche stavolta ha dovuto superare le forche caudine della delusione: fra l’eliminazione nella batteria dei 200 di mercoledì mattina e la batteria della 4x100 di venerdì sera ha vissuto lo stesso dramma che ci aveva raccontato dopo l’Olimpiade di Tokyo?

 

“Per fortuna no, l’Olimpiade è un’altra cosa. Lì ero molto più a terra, qui sono rimasto abbastanza sereno come avete potuto vedere nelle conferenze stampa. La staffetta, solo come partecipazione, è stata un’ottima medicina. I compagni per sdrammatizzare hanno subito cominciato a prendermi in giro perché andavo piano e poi dentro di me sapevo che il 20”46 non è quello che valgo. Questo non toglie che l’arrabbiatura c’era tutta”.

 

Anche stavolta il regista occulto delle sue gare ha scelto la sceneggiatura perfetta per esaltare la gente. Ormai sei l’uomo del riscatto e non per niente nelle pagelle di fine Mondiali sui giornali sono fioccati anche i 9.

 

“Non esageriamo. Il voto in staffetta può essere 9 ma fa media con il 4 dei 200 metri e quindi merito 6 e mezzo”.

 

Una staffetta d’argento, che con 37”62 ha ottenuto il secondo tempo della sua storia, di cui ti abbiamo definito il leader. Ma sicuramente non sarà d’accordo con questa definizione.

 

“Diciamo che insieme a Desalu sono il veterano della squadra e in raduno ho potuto aiutare i nuovi come Rigali, Ricci, Ceccarelli e Simonelli a capire cosa è la staffetta. Come si mette da parte ogni individualità e si sta bene insieme soprattutto fuori dal campo. La nostra forza è stata quella di essere un gruppo unito, tutti alla pari”.

 

Ci presenti allora i suoi compagni di staffetta, come li vede lei.

 

“Roberto Rigali è sempre stato il mio compagno di stanza nei raduni, quello con cui scherzo di più ma qui mi ha commosso per come ha raccontato la sua rivalsa dopo essere rimasto sempre ai margini della grande atletica. Marcell Jacobs è il rivale di tante gare con cui ho sempre mantenuto un rapporto di amicizia. Lorenzo Patta, per me Lollo, è l’amico sardo con cui condivido le origini. Ricordo nel 2019 dopo un allenamento a Oristano quando mio padre mi disse: “Vedi quello, un giorno correrai con lui la staffetta olimpica di Tokyo”. Praticamente lo conosco da sempre. Ma è l’unione a fare la forza. Quello che mi fa più piacere è che la staffetta piace sempre di più al pubblico. Prima poteva sembrare ingiustamente una gara di contorno, ora in Italia è uno dei simboli di tutta l’atletica”.

 

Per questo ha dato la disponibilità alla 4x100 anche se nella stessa giornata avesse dovuto correre la finale dei 200? Un altro segno di attaccamento.

 

“Esatto. E mi sono reso disponibile a correre dalla prima alla quinta frazione, quella di chi sta in panchina. La staffetta è come i Mondiali di calcio in cui bisogna ubbidire all’allenatore. Per questo dopo la premiazione siamo corsi al campo di riscaldamento per consegnare al responsabile tecnico Filippo Di Mulo e al tecnico Giorgio Frinolli, che erano impegnati con le 4x400, i premi ricevuti sul palco: la medaglia che ora viene attribuita ai tecnici e un pezzo di pista con testimone”.

 

Torniamo ai 200: con 20”46 in batteria è arrivato a due centesimi dall’ultimo tempo dei ripescati dell’ugandese Orogot. I centesimi le avevano detto bene a Doha e l’hanno tradita ai Mondiali di Eugene e di Budapest. Non è stressante per un velocista vedere il destino appeso ai centesimi?

 

“No, al contrario il gioco dei centesimi ti insegna a dare importanza ai particolari. Ogni centesimo è importante e va guadagnato. Ma a Budapest i centesimi non contano: avevo appena corso in 20”14 e sono andato semplicemente male. Ho commesso un errore tecnico in curva sbagliando un appoggio e per questo mi sono irrigidito sul rettilineo. La colpa è solo mia non dei centesimi”.

 

Ha rivisto la finale della 4x100 in cui la video-analisi le assegna un ottimo 8”94 lanciato nell’ultima frazione. Ha strappato l’argento a giamaicani e britannici, tenendo il passo del tri-iridato Lyles.

 

"Sì, ho rivisto la grande prova di tutta la staffetta in cui mi verrebbe da dire che quello fenomenale è stato Patta per come mi ha dato il cambio in terza-quarta posizione. I tempi di frazione sono relativi. A me basta aver guadagnato con i due frazionisti avversari che erano in linea con me e aver retto il confronto con Noah Lyles che ha vinto tre ori a questi Mondiali ed è una mia vecchia conoscenza di podi giovanili”.

 

Circola una battuta: se esistesse una specialità in cui si parte in piedi e con il testimone in mano Tortu sarebbe campione del mondo.

 

“Non è un mistero che io sono particolarmente forte sul lanciato. Queste sono semplicemente le mie caratteristiche da quando faccio atletica: per questo ai 60 indoor preferisco i 100 all’aperto e ora i 200. Nessuno contesta a Pirlo di avere quelle determinate peculiarità e di non essere più veloce. Ogni sportivo ha il suo bagaglio tecnico”.

 

Ha colpito il fatto che mentre Tamberi si allontanava dal padre-allenatore lei non ha mai messo in discussione il suo coach familiare. Anzi, gli ha dedicato subito l’argento della staffetta.

 

“Non lo metto in discussione perché è un bravo tecnico che mi ha sempre portato al massimo nelle grandi manifestazioni. Ovviamente con mio padre mi trovo bene anche come figlio ma questo è un altro discorso. Non ne ho mai dubitato ma quello che ho fatto in staffetta dimostra che ero al massimo della condizione e potevo scendere sotto i fatidici 20” che era l’obiettivo della stagione se avessi corso bene la gara individuale”.

 

Traguardo che resta valido visto che ha programmato ancora due gare sui 200, una delle due probabilmente alla Diamond League di Bruxelles dell’8 settembre.

 

“Vediamo come vanno gli ultimi allenamenti qui in Sardegna. Ho vissuto una stagione senza grandi infortuni e sì, punto a scendere sotto i 20”. Mio padre dice che valgo 19”95. Vediamo…”.

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