Foto Epa, via Ansa

mondiali di basket

La promessa di Wenyen Gabriel vale per tutto il Sudan del Sud

Francesco Gottardi

Da rifugiato a uomo-simbolo: è l’unico giocatore Nba ad aver accettato la sfida della Nazionale più giovane del mondo. La sua presenza nelle Filippine vale doppio. E alimenta il sogno olimpico degli africani

È una promessa che arriva da lontano. “Un giorno voglio tornare indietro e aiutare il mio popolo”, diceva Wenyen Gabriel ai tempi dell’Ncaa. Sette anni dopo, quel giorno è arrivato. Il Sudan del Sud si appresta a disputare il primo Mondiale di basket della sua effimera storia. Nessuna nazionale emergente ce l’aveva mai fatta al primo tentativo. E Gabriel, di questa Nazionale, è l’unico giocatore che dalle macerie della guerra civile è arrivato fino all’Nba. Ai Los Angeles Lakers. Laggiù è un onesto comprimario, chiuso dal talento di Anthony Davis nel ruolo di ala grande. Ma in canotta nera e bianca, Gabriel è l’uomo-simbolo del paese più giovane del mondo. Ne racchiude le speranze. E ne riflette il dramma, senza nemmeno bisogno di volare a canestro.

Il suo nome in lingua dinka significa “asciuga le tue lacrime”: Wenyen nacque nel 1997 subito dopo la morte prematura della sorella. Il suo numero è da sempre il 32, tranne ai Lakers per cause di forza maggiore – riservato a Magic Johnson in aeternum. Eppure l’omaggio di Gabriel non si riferisce ai grandi del passato, ma al cugino Bol che affogò in un incidente. “Faceva basket come me, anche se non abbiamo mai giocato nella stessa squadra. Mi domando tuttora come avrebbe potuto essere”.

Di tragedie familiari simili, il Sudan del Sud ne ha per generazioni. Solo la voce di Wenyen però è abbastanza forte da farsi sentire. “Siamo un gruppo di ragazzi a cui interessa vincere per la nostra gente”, spiega Luol Deng, che prima e più di Gabriel è stato l’astro trainante del movimento – oltre 13mila punti in Nba tra 2004 e 2019 – e oggi è il factotum dirigenziale dietro il miracolo sportivo. “Non è questione di pallacanestro”, ha dichiarato a Olympics.com, “ma di Sudan del Sud. Siamo gli unici nella storia di questo sport a qualificarsi ai Mondiali senza alcun palazzetto al coperto in tutto il territorio nazionale. Siamo sfavoriti”, nel girone con Serbia, Cina e Portorico. “Ma partiamo da zero come le altre 31 squadre. Daremo tutto. E attraverso questo torneo sogniamo le Olimpiadi”.

Se il Mondiale nelle Filippine è un capolavoro, frutto di 11 vittorie e un solo ko nelle eliminatorie, strappare il pass per Parigi 2024 sarebbe il trampolino sociale e mediatico definitivo. Non è impossibile: per riuscirci il Sudan del Sud deve risultare la miglior africana del tabellone – le altre sono Angola, Capo Verde, Egitto e Costa d’Avorio. La complicazione è che la chiamata alle armi lanciata da Deng non ha sortito l’entusiasmo sperato. Soltanto Carlik Jones, playmaker dei Chicago Bulls – ma relegato in Development League per tutto il 2023 – ha ultimato il processo di naturalizzazione dagli Stati Uniti. Di altri validi candidati in area Nba ce n’erano, da JT Thor (Charlotte Hornets) a Bol Bol – centro degli Orlando Magic e figlio del leggendario Manute. Ma per un motivo o per l’altro non saranno della spedizione. Per questo la presenza di Wenyen Gabriel sa di marchio registrato. I suoi 17 compagni, dalle periferie del basket globale, sono pronti a sorprendere. Lui invece mostra la via. Da rifugiato a campione. “Io la mia occasione l’ho avuta. Ma laggiù niente è cambiato: è mio dovere farne parte come posso”. Lo aspettano tutti, nella nuova capitale.

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