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caos azzurro

Mancini è scappato col pallone e Gravina se n'è accorto tardi. Da dove riparte la Nazionale italiana

Umberto Zapelloni

La fuga del ct è solo la punta dell'iceberg di un sistema che non funziona. La grande colpa del calcio italiano è stata quella di non aver sfruttato la vittoria di Wembley 

Cerchiamo l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua con il pallone che rotola sgonfio sul bagnasciuga. Il pomeriggio di Roberto Mancini è stato troppo azzurro che alla fine anche lui ha preso il treno. Per andarsene, però. Così, tra una lite sul salario minimo e la tassa alle banche, è arrivata la grande fuga del ct a riempire le chiacchiere sotto gli ombrelloni. Agli italiani il calcio importa più della crisi dei tassisti. Ignorarlo sarebbe dannoso. Se la politica interviene per accorciare le code fuori da aeroporti e stazioni e per mettere un freno al costo dei biglietti aerei, prima o poi dovrà mettere becco anche sul pallone. D’altra parte oggi abbiamo un ministro dello Sport che il calcio lo conosce bene, tanto che qualche anno fa si era candidato alla poltrona poi occupata da Gravina.

Andrea Abodi è rimasto sorpreso dalla fuga del Mancio, ma adesso dovrà andare oltre la sorpresa perché il pallone è troppo importante in Italia per permettere che si sgonfi davvero. La fuga di Mancini, sbagliata per tempi e modi, è solo la punta di un iceberg costituito da stadi vecchi che un Europeo organizzato insieme alla Turchia non aiuterà a rimodernare, da una giustizia sportiva che ha pasticciato all’inverosimile sul processo alla Juve, da diritti tv che non raggiungono la cifra sognata dai club, da una Serie B finita in tribunale per poter cominciare, da ragazzi che vincono l’Europeo Under 19 e poi rischiano di non trovare minuti in Serie A.

Può Gravina, l’uomo che si è fatto sbattere la porta in faccia da Mancini, risolvere tutto questo da solo? Una prima risposta ce la darà annunciando il prima possibile l’ingaggio di Luciano Spalletti come ct azzurro, risolvendo velocemente il problema clausola con il Napoli. Tra meno di un mese ci giochiamo la qualificazione all’Europeo dove abbiamo un titolo da difendere. Restare a casa, dopo aver già visto due Mondiali di fila da spettatori, sarebbe un altro grosso problema. Il presidente federale avrebbe dovuto almeno pretendere da Mancini di restare fino alle partite di settembre, soprattutto perché dieci giorni fa aveva detto sì alla riorganizzazione del settore tecnico, assumendosene tutta la responsabilità. Chi frequenta la Nazionale da mesi raccontava di un certo malessere serpeggiante attorno al ct che non si sentiva più amato come prima e tutti sanno quanto Mancini, pur abituato ad andare controcorrente come faceva in campo con i suoi colpi di tacco, abbia bisogno di sentirsi amato per esprimere il suo meglio. Un grande manager deve capire se i suoi dirigenti remano ancora tutti nella stessa direzione, deve sapere che certe scelte possono incrinare un rapporto delicato. Gravina ha intuito troppo tardi, imboccato dalla moglie dello stesso Mancini, che stava per capitare qualcosa di grosso. Carlo Tavecchio, in fin dei conti, era stato messo al rogo per molto meno.

La grande colpa del calcio italiano è stata quella di non aver sfruttato la vittoria di Wembley. Di non aver costruito abbastanza dopo il successo europeo, e non soltanto perché siamo rimasti spettatori anche del Mondiale in Qatar. Il pallone è una delle aziende più importanti del paese perché lo si lasci rotolare fuori dal campo. La politica che da anni cerca di far fuori il presidente del Coni Malagò, per poi applaudirlo dopo i successi olimpici di Tokyo, forse dovrebbe cambiare bersaglio. E’ il calcio ad aver bisogno d’aiuto e sul calcio si regge tutto il resto. Non averlo assecondato a ospitare da solo gli Europei (senza il bisogno di chiedere una scomoda alleanza a Erdogan) è stato un errore. Non è necessario chiamare il generale Figliuolo come chiede ironicamente Gene Gnocchi, ma non si può neppure sperare che ci capiti improvvisamente un’altra Wembley a coprire tutte le magagne.

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