(foto ANSA)

Il foglio sportivo

Quel silenzio preoccupante di Mourinho

Giuseppe Pastore

Alla sua terza stagione di solito si inventa qualcosa. Che cosa deve aspettarsi la Roma dall'allenatore portoghese

Nelle notti di grandine, mentre la Natura ci restituisce con gli interessi tutti i cocktail che ci stiamo tracannando in questa estate tropicale, quando veniamo svegliati di soprassalto dagli allarmi di mezzo quartiere, è lì che ci sorprendiamo a pensare: cosa starà facendo José Mourinho? Più volte aveva dichiarato che “avrebbe parlato” a fine stagione, come si fa di solito per  tirare le somme, enunciare proclami e magari dire cose tremendissime, per esempio contro i tifosi che avevano fischiato i giocatori o contro il mai amato Tiago Pinto o naturalmente contro gli arbitri.


Invece non ha più emesso sillaba dall’ultima di campionato contro lo Spezia, che a sua volta seguiva di pochi giorni la traumatica finale di Europa League. Giusto qualche chiacchiera al ritorno a Fiumicino, senza dire nulla di incendiario o di mourinhiano. Hanno parlato invece i giudici sportivi italiani ed europei, squalificandolo per due turni di campionato e quattro di coppa: è il motivo per cui Mourinho ha assistito all’amichevole di mercoledì scorso contro il Braga direttamente dalla tribuna insieme a tre collaboratori pure loro squalificati. Lo ha fatto per riabituarsi alla sensazione di osservare le cose dall’alto, che pure non gli è mai stata estranea. Mourinho come Batman, salvatore della patria in sonno in attesa di riattivare il Mou-segnale, personaggio ambiguo come certe rivisitazioni cinematografiche dell’Uomo Pipistrello: per molti agente del caos, per altri unico argine al disastro.


E dunque, con un personaggio così avvincente, la narrazione non può che essere ambivalente. Da un lato, raramente così compatto, il popolo romanista che in questo preciso momento storico non ha altro dio all'infuori di Mou. Dall'altro, il tarlo del sospetto: forse quei ripetuti “parlerò a fine stagione” erano il preludio a una partenza a un certo punto sicura? Magari per allenare il PSG, o la Nazionale portoghese, o qualche club di Premier di buon livello. Invece non se n'è fatto nulla. Per qualcuno ha prevalso l'amore per Roma, ribadito anche lo scorso 22 luglio con un post strappa-applausi; per altri, semplicemente, Mou è rimasto col cerino in mano e ha dovuto di buon grado accontentarsi dei sette milioni di stipendio per l'ultimo anno di contratto.


Di sicuro siamo di fronte alle colonne d'Ercole: così come le seconde stagioni di Mourinho sono sempre state formidabili, fatte di alta fedeltà e di un’intensità invidiabile, le sue terze stagioni sono notoriamente famigerate. Così così al Chelsea prima gestione (2006-2007), zero tituli al Real Madrid (2012-2013) e una cascata di veleno a rendere irrespirabile l’area di Valdebebas prima delle bonifiche ancelottiane, risoluzione del contratto al Chelsea seconda gestione (2015-2016) e addirittura esonero al Manchester United (2018-2019). Anche l’atteggiamento degli ultimi mesi, in stile “dopo di me il diluvio”, faceva intendere l’approssimarsi dei titoli di coda. Sarebbe stato un dramma, o una benedizione?


Il silenzio di Mourinho è scenografico, lascia presagire tornado dialettici ancora più tonitruanti di quelli a cui ci sta costringendo il global warming: parafrasando i classici, potremmo concludere che l’attesa di Mourinho è essa stessa Mourinho. Ma è anche una condanna a dover sempre alzare l’asticella, ché oltre alla ricerca continua del coup de théâtre gli rimane poco altro: sul terreno di gioco la Roma ha prodotto un gioco a lungo asfittico, la cui afasia è stata tollerata solo in nome del Grande Sogno europeo. Soltanto Dybala è andato in doppia cifra; nonostante 31 partite di campionato, Belotti addirittura non si è mosso dalla casellina dello zero. E non è solo una questione di scarsa qualità individuale: votata anzitutto psicologicamente a un calcio di estenuante applicazione difensiva, la Mou-Roma 2.0 ha spesso finito per attaccare in due contro cinque, con lunghi decametri di campo da risalire prima di arrivare a dama. Al di là delle difficoltà economiche, forse anche questo spiega la difficoltà a mettere le mani su una punta di qualche valore, sia pure uno Scamacca di ritorno. Ma si può chiedere una svolta tattica a un allenatore che ha superato la sessantina e, al contrario del suo dirimpettaio in biancoceleste, da tempo dimostra di non aver più troppa voglia di spendersi per un calcio migliore?


Certo, ha confermato e confermerà le straordinarie doti di squisito manipolatore di anime e cervelli, trovando terreno fertile in una città sempre in cerca dell'uomo forte. Ha mostrato il pollice verso ad almeno un paio di giocatori della rosa, senza riguardo per le cautele imposte dal bilancio, poi ne ha perdonato uno, e ripeterà all'infinito il suo favourite game. Ha commesso più di un errore nella finale di Budapest, dalla gestione dei cambi all'ordine dei rigoristi, ma gli sono stati perdonati – anzi meglio, non gli sono stati mai nemmeno addebitati, assordati dal furore verso l'arbitro Taylor che lui stesso ha aizzato con quella specie di piccolo agguato sotterraneo, naturalmente a favore di telecamera. E quest’anno chissà cosa, in eterna processione su un crinale sottile su cui, ne siamo certi, riuscirà a rimanere in equilibrio come quel tale che ebbe il fegato di camminare tra una Twin Tower e l'altra: all'occorrenza sempre in grado di rovesciare il peso della colpa sull'arbitro, il mancato mercato, gli infortuni, l'età media troppo bassa dei suoi giocatori o altri alibi fantastici che noi umani non possiamo neanche immaginare. Un difetto, o una qualità?


Un incantesimo che noi noiosi possiamo ripetutamente smascherare, ripetendoci che tanto poi la classifica ha detto sesto posto, a -27 dalla prima in classifica e a -11 dalla seconda che, purtroppo per la Roma, l'anno scorso si chiamava Lazio. Tanto non siamo noi quelli a cui guarda lui. E quindi, passateci la citazione: dove la starà passando l'estate José Mourinho? Di sicuro non dorme, perché è un professionista.

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