dallo stadio

Cronaca di un dramma (sportivo). La sconfitta della Roma vista dall'Olimpico

Luca Roberto

Chi non è riuscito ad andare a Budapest s'è ritrovato allo stadio. Oltre 55mila persone col fiato sospeso: il gol di Dybala, le standing ovation per Totti, Mourinho ed El Shaarawy, le lamentele contro l'arbitro. Prima dello strazio finale

L'irrealtà stava tutta nel far sembrare quelle 55.329 anime poco più che un banale raduno infrasettimanale di parrocchia. Quando Gonzalo Montiel a Budapest mercoledì sera ha spezzato il sogno della Roma in finale di Europa League, allo Stadio Olimpico si sentivano gli echi, potevi quasi decifrare dalla Curva Nord quel che si stavano sussurrando nei Distinti Sud, a centinaia di metri e di carichi emotivi di distanza. Son state più di tre ore di tutto l'armamentario retorico di chi tifa i colori giallo e rosso: appartenenza, gioia per le piccole cose, apprensione, paura, contemplazione, sudore, nonostante il vento freddo che spirava da Monte Mario. E poi ovvio, certo, la sofferenza straziante per un finale dal dischetto che veniva vissuto con un poco di rassegnazione, tutti avvolti in una specie di seduta psicanalitica di massa. Che si sa la storia romanista dove va a parare quando si tratta di rigori.

E pensare che la serata era cominciata con "Mai sola mai" cantata a squarciagola insieme al cantautore Marco Conidi, lasciato a presidio dell'Olimpico visto che il 90 per cento di chi lavora per la Roma in quelle ore si era trasferito armi e bagagli alla Puskas Arena. Poi l'inno, vissuto con il trasporto che sempre da quasi due anni avvolge le partite della squadra di Mourinho, col carico gutturale del "Roma Roma Roma" finale che potevi auscultare fino a Guidonia. Volavanono merli, confusi con le aquile ("Ahò, ce stà Olimpia"), in attesa che - con il triste deflusso - le gradinate lasciassero spazio ai gabbiani alla ricerca di cornicioni della pizza e avanzi di patatine.

In questo grande album di famiglia, ci sono alcune immagini che ci sono rimaste impresse più di altre. In Curva Nord, Flavio per esempio, l'attesa della partita non l'ha vissuta bene. Ha esagerato con le birre, si è acceso una canna, e quindi a un certo punto, ancor prima del fischio d'inizio, s'è messo a riversare tutti i liquidi che aveva dentro sulle due-tre file di posti che gli stavano innanzi. Creerà un cordone di posti vuoti. Non del tutto utile per evitare che tutto assuma un persistente odore sgradevole. Si è ribaltato, si è aperto il naso: una ferita ragguardevole. L'arrivo di due paramedici ha dato il via a una trattativa Flavio-medicina per portarlo via. Si perderà, ahinoi, il gol di Paulo Dybala, che chiuderà lì per lì tutti i ragionamenti con i vicini di posto, se fosse meglio schierarlo da subito o se invece avesse senso preservarlo per il secondo tempo. 

C'è una cosa che i tifosi romanisti accorsi a una specie di rito religioso si divertono a fare di più: le standing ovation. E quelle per Francesco Totti, inquadrato nel frattempo in Ungheria sono, va da sé, scontate. Della stessa genìa le sollevazioni per José Mourinho, per il capitano Lorenzo Pellegrini. Meno scritte quelle per Stephan El Shaarawy, che basta compaia in video per rianimare il popolo dell'Olimpico nel corso del secondo tempo. Poi tutti si trovano d'accordo, non ce n'è uno nello stadio che dissenta: quello sul cross di Matic (altro per cui si alzano i decibel quando lascia il campo) è rigore. "Partita farsata!", si spinge ad argomentare un ragazzo uscendo. Sono quasi tutti ragazzi e ragazze, arrivano con i motorini, hanno le sciarpe, non espongono striscioni. Così che l'effetto che fa vedere, da un Olimpico spoglio, la curva dei tifosi romanisti a Budapest è quello di un concerto in una cattedrale sconsacrata. O di un gruppo di ascolto (ma enorme) per vedersi insieme, per esempio, la finale di Sanremo. Com'è capitato a Ronciglione quest'anno per la finale di Marco Mengoni.

Sono tutti ragazzi (e adolescenti bionde, truccate in maniera grossolana), hanno maglie di Totti, Dybala, De Rossi, Pellegrini, Cristante, Castan, il più originale di Ljaic. Ma ci sono anche i padri. E forse l'immagine finale è quella che meglio sintetizza la serata del tifoso romanista che ha speso 20 euro per ottenere l'impressione di aver almeno un poco fatto un salto in Ungheria. I maxi schermi inquadrano lui che si stringe addosso il figlio piangente. Tutti applaudono, mentre con grande scelta di tempo in sottofondo i Red Hot Chili Peppers stanno spiegando una metafora su "una cicatrice che speravo vedessi, sarcastico signor 'so tutto io'. Chiudi gli occhi e ti bacierò, perché con gli uccelli condividerò questa vista solitaria".

In tutto questo nessuno sa che fine abbia fatto Flavio.

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