Il gran teatro della Roma a Budapest, nonostante la sconfitta

Marco Ballestracci

Il Siviglia ha vinto l'Europa League ai rigori contro i giallorossi. A lungo tale è stato il grado di libera gazzarra sul campo che a un certo punto la Puskas Arena è parsa una succursale del Teatro Ambra Jovinelli

Insomma, Milano è il culto dell’operosità, Venezia, ovunque si guardi, è il luogo della bellezza poetica, Firenze ha pure lei il suo bel perché, ma Roma, non c’è niente da fare, è qualcosa di più. Roma è decisamente un modo di stare al mondo. Lo si scopre ovunque: osservando la gente che gesticola al capolinea della metropolitana del Laurentino, oppure cercando di catturare un taxi davanti (o dietro) al Palazzaccio o ancora, ovunque in Italia, rivolgendo a chi possiede quell’accento un fatidico “Forza Roma”, ottenendo ogni volta la medesima risposta: “Sempre!”.

Non m’è mai capitato durante le discese nella capitale di ascoltare qualcuno che sia sguinsciato via dal rispondere in questo modo: “Sempre!”, tanto che talvolta mi sono chiesto se all’interno del Gra esistesse davvero qualcuno che tifava Lazio. Comunque sia, codesto “Sempre!” è il sedimento, cioè quello che rimane, d’una battuta attoriale di qualche spettacolo dimenticato. Perché, diciamolo, Roma è un gigantesco teatro - comico o drammatico non importa - e a Budapest questa grande capacità è saltata agli occhi.

A un certo punto la Puskas Arena è parsa una succursale del Teatro Ambra Jovinelli, soprattutto fino a quando i calciatori e tutti gli attaché hanno avuto sufficiente ossigeno nel cervello per prodursi in schiamazzi, capriole, coreografie di danza e persino in numeri di prestidigitazione e illusionismo. Ma non si pensi che ci si riferisca solo ai giocatori della Roma, niente affatto. I sivigliani, che non mancano di nacchere e colpi di teatro, colta la divertente inclinazione della partita all’avanspettacolo non si son fatti pregare. A un certo punto era tale il grado di libera gazzarra sul campo, nel senso che ogni artista s’esibiva nel proprio numero preferito con estrema libertà, che non ci sarebbe stato nulla da dire se, come accadeva nei teatri di rivista in Piazza Guglielmo Pepe, sull’Esquilino, anche il pubblico avesse stuzzicato i teatranti col lancio d’ortaggi, di interiora di pollame e, nei casi di maggiore entusiasmo, di sorci morti.

Ovvio, tutto è durato finché la questione non s’è fatta scottante, i crampi hanno dissuaso i gran colpi di destrezza e la partita ha preso l’inclinazione dello spettacolo drammatico, con un esito per i romanisti purtroppo deludente. Tuttavia questo non importa affatto, perché Roma – intendendo la città – e la romanità sono usciti trionfanti dalla Puskas Arena, minimamente intaccati dalla sconfitta sul campo.

Perché il teatro, nonostante arrivasse dalla Grecia, è diventato adulto a Roma e mai come dopo questa bruciante sconfitta ai rigori, una volta passata la delusione, si potrà dire a maggior ragione agli ungheresi, parafrasando Corrado Guzzanti: “Quando Plauto metteva in scena 'Il Miles Gloriosus' voi scappavate dagli ultimi mammuth” e ai sivigliani: “Alla fine tutto lo spettacolo ve l’abbiam scritto noi, voi avete solo partecipato”. Perché, spesso lo si dimentica, lo sport serve a far divertire la gente, soprattutto coloro che amano davvero divertirsi, e non ci vorrà molto - una o due settimane – per incontrare due romanisti sul tram numero tre che ridacchiano e dicono: “A Budapest abbiam perso, ma ammazza se ce la siamo goduta”.

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