Foto Epa, via Ansa

la 3a tappa del Tour

Tour de France. Jasper Philipsen ha seguito la vecchia regola

Giovanni Battistuzzi

A Bayonne il belga ha battuto in volata Bauhaus ed Ewan. Una vittoria festeggiata in bici e attesa a lungo giù di sella per una sospetta irregolarità che non c'è stata nei confronti di Wout van Aert

Tre cose Roland Barthes ricordava bene dei suoi sei anni bambini a Bayonne: il cioccolato, le zanzare, il correre nudo nei campi. Sembra strano, ma c'è qualcosa che lega le zone paludose al correre nudi nei campi, quasi fosse un'attrazione irresistibile. Il cantante dei Creedence Clearwater Revival, John Fogerty, aveva cantato lo stesso nel brano “Born on the Bayou”: Running through the blackwood, bare / And I can still hear my old hound dog barking. C'era mai stato nel bayou John Fogerty, era californiano, ma a fare country rock non si può che finire in qualche modo lungo il Mississipi, anche solo con l'immaginazione. A volte le coincidenze riescono a sorprendere. Ancor più quelle nei nomi. Bayonne, o Baiona in basco e guascone, dovrebbe derivare dal guascone bajones, paludi: era un'enorme palude il territorio compreso tra i fiumi Adour e Nive; Bayou invece viene da bayouk, che nella lingua Choctaw – popolazione nativa americana – voleva dire tortuosità ma anche ambiente malsano. Scriveva Roland Barthes che “è inutile stupirsi per le coincidenze, semplicemente possono accadere perché la realtà è complessa e multiforme e di eventi che presentano delle similitudini ce ne sono più di quanti siamo portati a pensare”. Aggiunse: “Spesso le coincidenze non hanno significato, sono soltanto avvicinamenti di significato che facciamo in modo erroneo, avvicinando conoscenze diverse e sforzando di trovare delle similitudini”. A volerle cercare se ne trovano un sacco. Tipo che Neilson Powless è di origine nativa americana come il termine bayouk che suona così simile a Bayonne; tipo il fatto che Laurent Pichon abbia vinto le prime cinque gare tra i professionisti sempre in territori che furono paludi. Neilson Powless e Laurent Pichon avrebbero voluto raggiungere Bayonne, sede di arrivo della terza tappa del Tour de France, davanti a tutti, non si andrebbe in fuga altrimento. Si sono fatti a lungo inseguire, ognuno con le sue motivazioni. Il primo voleva rafforzare i pois della sua maglia di miglior scalatore – ne ha racimolati altri sette e ora sono undici in più di Tadej Pogacar –, il secondo con la matta idea di poter vincere una tappa. All'americano è andata bene, ha fatto un po' di teatro in cima alle côte, un omaggio ai tifosi di bianco e rosso a pois vestiti, il modo giusto per sentirsi importante e far sentire loro importanti; al francese no, ma non è un problema, è un attaccante, uno che non ha paura di andare in fuga. Nemmeno Victor Lafay sembra di aver paura della solitudine dell'inseguito. Oggi si è fatto una ventina di chilometri davanti al gruppo pur di incamerare qualche punto in più per continuare a vestire la maglia verde. Ha fatto i calcoli bene, anche domani la porterà sulle spalle.

Il Tour de France, dopo due tappe movimentate, parecchie salitelle e qualche sorpresa in terra basca, si è concesso, per il suo arrivo in Francia, una processione tranquilla verso Bayonne. Un lungo inseguimento senza alcuna ansia ai fuggitivi, un veloce preparazione alla prima volata di gruppo della centodecima edizione. Sotto lo striscione d'arrivo di Bayonne è transitato per primo Jasper Philipsen e con margine, davanti a Phil Bauhaus e Caleb Ewan. Vittoria netta sulla strada, vittoria sospesa per un po' a fine corsa. Minuti che a Philipsen sono sembrate ore: sbuffava come una persona qualsiasi in fila agli uffici anagrafici di una grande città. La linea d'arrivo era al termine di una lunga semicurva, Jasper Philipsen era davanti, aveva preso una traiettoria a tagliare leggermente la carreggiata da sinistra a destra, vero le transenne, Wout van Aert aveva preso quella più interna, quella vicina alle barriere di protezioni. Traiettorie coincidenti, ma senza dolo da parte del primo, solo la vecchia e sempre valida lezione: prendi il centro e punta l'esterno. La giuria però sembrava non ricordare le vecchie e sempre validi lezioni. C'ha pensato a lungo, ha valutato per bene, poi si è accorta che nulla di irregolare era successo. È la seconda volta (era successa alla prima tappa) in tre giorni che Wout van Aert sceglie il posto meno indicato per passare gli avversari.

 

Foto Epa, via Ansa  
    

Doveva forse andare così, almeno per somma di coincidenze: Jasper Philipsen è nato a Mol, che come Bayonne ha un cioccolato unico, un modo diverso di produzione rispetto a tutti gli altri paesi belgi.

Doveva forse andare così, indipendentemente dalle coincidenze: il finale era un susseguirsi di curvoni, servivano gregari bravi a tenere altissimo il ritmo e la Alpecin-Deceuninck aveva i migliori. Aveva soprattutto Mathieu van der Poel che è ha affinato ancor più le sue capacità di pesce pilota, di trampolino di lancio.

Si vedrà se il meccanismo sincronizzato a meraviglia della squadra belga si ripeterà anche domani: si arriva in circuito, ci sono parecchi curvoni, servirà la squadra.

   

Tour de France, 3a tappa. L'ordine d'arrivo e la classifica generale

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