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la seconda tappa della Grande Boucle

Tour de France. La buona idea di Victor Lafay

Giovanni Battistuzzi

Il francese vince la seconda tappa della Grande Boucle con un colpo da finisseur all'ultimo chilometro. Era l'unico modo per battere Wout van Aert, è andato a segno. Pogacar, terzo all'arrivo, incrementa con gli abbuoni il vantaggio su Vingegaard

Serve sempre un po’ di immaginazione per fare in modo che una buona idea possa materializzarsi, diventare reale. Ieri, al termine della prima tappadel Tour de France, Victor Lafay si era detto stupito della bontà della sua condizione, era riuscito a stare in scia a Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar, aveva sostenuto che a favorirlo fosse stata la lunghezza, breve, dell’ascesa. Poi aveva aggiunto che ci avrebbe riprovato, ma nei giorni successivi, non certo oggi, che sopra i sette chilometri le salite non fanno per lui. A volte serve giocare in difensiva con le parole per non passare da spaccone. È simpatico il francese, ha la parlantina dell’uomo scaltro e intelligente. Anche il colpo d’occhio. E pure le gambe. Più di uno aveva provato a cogliere di sorpresa Wout van Aert, che lo sapevano tutti che Wout van Aert difficilmente sarebbe stato battuto. Serviva una buona idea e l’immaginazione per renderla realtà. Lafay è partito poco dopo la flamme rouge, il triangolino che segna l’inizio dell’ultimo chilometro, ha sorpreso tutti, non l’hanno preso più. Primo a Donostia, prima vittoria al Tour (era riuscito già a vincere al Giro d'Italia), quarto posto in classifica, la voglia di non darsi limiti. “Si vedrà, che sia quel che sia”, ha detto alla tivù francese. Bel tipo Lafay.

L’immaginazione a volte modifica ciò che ci sta attorno, cambia le forme, ne dilata contorni. Ci fa vedere ciò che non c’è. Non è sempre colpa di chi vede. A volte è il contesto a trarci in inganno.

Perché in una giornata partita con la pioggia, poi bagnata dal sole, macchiata da nubi che correvano veloci, molto più veloci dei corridori, a un certo punto ci si è messa la nebbiolina a dare l’illusione che lo Jaizkibel, il monte che guarda dall’alto il confine tra Francia e Spagna, a due passi – che al Tour de France fanno circa quindici chilometri – da Donostia, fosse una salitona pirenaica. E allora forse per farci continuare a illudere, in cima, fianco a fianco, s’erano presentati Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, nel modo che hanno loro di farsi i dispetti giocando a fare i capoclasse. In gioco non c’era la tappa, quella si decideva vicino al mare. Lassù a 452 metri sul livello del mare, ci si giocava l’abbuono. In palio c’erano 8, 5 e 3 secondi. Pochini, ma non è la quantità a interessare, è la volontà di intimorire l’avversario a interessare. Difficile che due così possano intimorirsi, ma tant’è. Intanto, a fare i conti, fanno 16-5 per Pogacar, ossia 11 secondi di vantaggio in classifica. Che non vogliono dire niente, ma che è sempre meglio averli che non averli.

Non sono queste le salite di Jonas Vingegaard, preferisce quelle più lunghe, più ad alta quota. Di salite ce ne sono tante, quelle che piacciono al danese però non così tante. Sono anche queste le salite di Tadej Pogacar, ma tutte le salite sono per lui, anche quelle più lunghe e più ad alta quota. Non servirà aspettare molto. I Pirenei arriveranno già alla quinta tappa, mercoledì.

I Pirenei li aspetterà anche Neilson Powless per dare seguito a ciò che ha iniziato a fare ieri e ha continuato a fare oggi. Per l’americano, nativo americano, più americano di tutti, le salite hanno iniziato a essere fatte a pois. Cerca di metterne assieme il più possibile. Ha iniziato sull’Alto del Vivero. Ha continuato oggi, rischiando di completare un en plein che sembrava impossibile a inizio tappa. E ancor più a metà tappa. Pensare di poter arrivare al traguardo tre contro tutti era ottimistico, se si è ottimisti, folle se lo si è meno. Neilson Powless non c’è andato troppo lontano dal realizzare la sua personalissima e lucidissima follia. Lui è uno che dice che tutti faticano e quindi non si può mai sapere quanto gli altri faticano davvero. Senz’altro ha smascherato quelle di Edvald Boasson Hagen e Remi Cavagna, compagni di viaggio in quel lungo procedere assieme che non è arrivato alla meta, ma durato meno.

 

2a tappa del Tour de France, l'ordine d'arrivo e la classifica generale

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