Foto LaPresse

la giovine italia

L'Italia fuori dall'Europeo Under 21 non è un fallimento. Non provare a capire il perché, sì

Giovanni Battistuzzi

La Nazionale di Nicolato lascia il Campionato europeo dopo la sconfitta con la Norvegia. Per la quarta volta di fila gli Azzurrini guarderanno le Olimpiadi da casa. La "cura" che non si riesce più a trovare per i soliti problemi

L’Italia del calcio non parteciperà all’Olimpiade di Parigi 2024. Non è una novità, va così dal 2012. E nel 2008 uscimmo ai quarti di finale contro il Belgio, all’epoca squadra forte, ma non fortissima, ma che in sé aveva già qualcosa della Nazionale che poi fece bene, senza vincere niente, negli anni dopo. Di quella squadra ormai giocano ancora in pochi, quasi nessuno a grandi livelli: Emiliano Viviano, Luca Cigarini, Giuseppe Rossi, Daniele Dessena, Andrea Coda, Lorenzo De Silvestri, Andrea Consigli, Antonio Candreva, Andrea Russotto. Dopo di loro l’Italia all’Olimpiade è sparita, perché è sparita la Nazionale Under 21, almeno in quelle edizioni degli Europei di categoria che mettevano in palio la qualificazione per i Giochi olimpici.

È stato polemizzato a lungo in questi anni, e non solo in Italia, sui criteri usati per l’accesso alle Olimpiadi. C’è chi dice che sono sbagliati, chi rivedibili, chi corretti. Accordo pieno non c’è, solitamente i contrari sono sempre quelli che non vedono la propria rappresentativa qualificata. In Italia c’è parecchia contrarietà, ma le regole per l’accesso sono queste quindi tant’è.

Mercoledì sera è arrivata l’ultima mancata qualificazione. La Nazionale Under 21 ha perso con la Norvegia per 0-1 e dopo giorni nei quali si è parlato a lungo del possibile “biscotto” tra Francia e Svizzera che ci avrebbe eliminato (la Francia ha vinto 4-1), gli Azzurrini si sono imbiscottati da soli. La Svizzera è passata perché ha segnato un gol in più. Eliminazione al primo turno: la quinta in vent’anni, nel mezzo due semifinali, un quarto e una mancata qualificazione alle fasi finali.

La selezione Under 21 guidata in panchina da Paolo Nicolato e in campo da Sandro Tonali non è riuscita a ottenere l’obbiettivo minimo e quindi tutto sembra da buttare; e quindi tutto sembra una catastrofe, perché le aspettative c’erano, i giovani erano buoni, il ct Roberto Mancini aveva lasciato al ct Nicolato il meglio dei convocabili. L’Italia ha giocato discretamente bene, niente di eccezionale certo, ma nemmeno male. Almeno fino agli ultimi minuti. Ha creato buone azioni, ha rischiato di segnare in qualche occasione. Poteva andare in vantaggio, poteva poi pareggiare il gol, un po’ fortunoso di Erik Botheim. Non lo ha fatto. Va a finire spesso così: se non segni magari non perdi, certamente non vinci. L’Italia Under 21 ha segnato quattro volte in questo Europeo: con Pietro Pellegri, contro la Francia, con Lorenzo Pirola, Wilfried Gnonto e Fabiano Parisi contro la Svizzera. Due, Pellegri e Gnonto, fanno gli attaccanti, gli altri i difensori anche se Parisi giocava esterno in un centrocampo a cinque e quand’è così è sempre difficile capire se è il centrocampo a essere a cinque o la difesa, questione di interpretazione.

L’Italia è fuori per tanti motivi, uno di questi è perché chi dovrebbe fare i gol non li fa. Non li fa nell’Under 21 e non li fa nella Nazionale di Mancini, che è rimasta fuori dall’ultimo Mondiale e non è che faccia cose strepitose nemmeno nelle qualificazioni al prossimo Europeo. Non li fa da parecchio. In un calcio nel quale si segna di più rispetto agli ultimi anni, l’Italia ha un capocannoniere in Azzurro che si chiama Gigi Riva. Era un gran attaccante Gigi Riva, non solo un Rombo di tuono, a volte un’Iradiddio. Ha smesso di giocare nel 1977. Poi con la casacca della Nazionale hanno giocato buoni centravanti e ottimi trequartisti, mezzepunte, fantasisti o come li si vuol chiamare. Quel record, i 35 gol azzurri di Gigi Riva, non li ha più raggiunti nessuno. Pellegri e Gnonto, Immobile e Belotti, non sono gli unici che segnano poco, al momento sono gli ultimi di una lunga serie. Certo l’Italia nel frattempo ha vinto, Mondiali e un Europeo, anche senza goleador da tantissimi gol. Ha vinto facendo squadra, giocando d’insieme e trovando il modo di segnare in tanti, perché non è sempre facile trovare uno che segni tanto.

Ed è forse qui il problema vero. Che quella lunga stirpe di uomini seduti in panchina capaci di fare squadra, giocare d’insieme e far segnare in tanti, s’è un po’ persa per strada. Oppure non riesce più a trasmettere ai loro giocatori quello che è stato trasmesso loro. Perché non è vero che i giovani bravi non ci sono o non giocano mai: undici giocano titolari in Serie A, quattro giocano molto spesso, altri molto probabilmente lo faranno dalla prossima stagione. Quel che manca è farli giocare come una squadra. Perché, spiace dirlo, ma non ci sono fenomeni nell’Under 21 e nella Nazionale di Mancini, buoni giocatori sì, qualche ottimo giocatore, ma calciatori di livello altissimo non ce ne è in giro in Italia. Non almeno lì dove serve per creare e segnare. Ed è qui, per ovviare a questo, che serve l’inventiva di chi non gioca. È riuscito a Roberto Mancini all'Europeo del 2021, quando in qualche modo, a forza di pasaggi, superò il poco feeling degli attaccanti con il gol: terminarono con due marcature Federico Chiesa,  Ciro Immobile, Lorenzo Insigne, Manuel Locatelli, Matteo Pessina. Terminò quell'Europeo con la sensazione, poi ampiamente dimostrata, che tutto c'era andato particolarmente bene (e ciò non vuol dire che fu tutta fortuna, piuttosto un incrociarsi di eventi difficilmente ripetibili).

Paolo Nicolato non ha tutte le colpe, il suo l’ha fatto: ha fatto crescere un bel po’ di giocatori, ha dato loro una dimensione internazionale, non ha sprecato talenti e ha saputo scegliere chi poteva essere per lui più funzionale. Qualcosa però non è andato. E non è la prima volta. Quando c’è qualcosa di importante da giocarsi sembra che qualcosa non giri mai come dovrebbe girare. E forse chi guida il calcio italiano dovrebbe chiedersi perché ciò accade di continuo. Certo il fatto di dire che va sempre tutto bene non aiuta. Né il movimento, né tantomeno i giovani. Non c’è una legge divina che impone che l’Italia debba sempre essere protagonista nel calcio, non esiste un talento innato nel nostro dna che ci guidi alla vittoria e quattro titoli mondiali e due europei non significano che l’Italia si una nazione di vincenti. È andata bene molte volte, altre è andata molto male. Sempre però c’è stato un lavoro lungo e complicato di creazione di un modello di calcio, magari poco spettacolare, ma un progetto c’era. Ora sembra che la predestinazione sia l’unica via da seguire.