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Tonali lascia il Milan per il Newcastle: se si è professionisti meglio non parlare di sentimenti

Giovanni Battistuzzi

Il centrocampista rossonero giocherà in Inghilterra. Il compromesso impossibile tra le ragioni del tifo e quelle economiche

Professionista è chi, scrive la Treccani, “esercita una professione intellettuale o liberale come attività economica primaria”. Nel libero mercato funziona che chi è più bravo, chi eccelle in qualcosa, ha più possibilità degli altri – o almeno va così quasi sempre – di veder remunerate di più la propria attività. Il calcio non è diverso da tutte le altre professioni. Il mercato è libero, spesso parecchio meritocratico e i club onorano per bene i loro giocatori, soprattutto quelli molto capaci. Nel calcio però i lavoratori hanno il problema di non essere giudicati solo dai loro datori di lavoro, ma anche da chi assiste allo spettacolo che lo sport mette in scena. E chi assiste ha il vizio di non limitarsi all’osservazione empirica di quanto accade in campo, ma si lega a concetti un po’ vaghi che vanno dalla fede alla passione e tutta un’altra serie di dogmi che una squadra porta con sé, tipo l’appartenenza. A una maglia si appartiene, pensano i tifosi. Bel problema l’appartenenza. Difficile uscirne. Soprattutto quando accade che un calciatore è talmente incauto da cadere nella tentazione di non essere solo un atleta, ma pure un tifoso e dei colori che indossa in partita. Quand’è così gli errori si moltiplicano sempre. Perché poi escono frasi tipo “per sempre”, “amore”, “bandiera”. Serve scappare da tutto ciò, evitare come si evitano gli appestati. Sono solo problemi. Andate a spiegare a chi pensa che “per sempre” sia davvero per sempre, che quel “per sempre” non era poi davvero per sempre, ma solo il più a lungo possibile. Andate a spiegare che si è professionisti e quindi legati al mercato e non appartenenti a dei colori, a quel qualcosa che supera il solo indossare una maglia di una squadra di calcio. Difficilissimo.

Ne sa qualcosa Sandro Tonali che lascia Milano e il Milan, il suo Milan, per il Newcastle.

Si può mica dirgli niente a Sandro Tonali. È un calciatore capace, ha dirigenti da mezza Europa che lo vorrebbero portare nella loro squadra e che per farlo sono disposti a pagare molto e a stipulare con lui un contratto lungo e molto più conveniente di quello che riceverebbe al Milan. È un professionista che sa fare bene la sua professione di centrocampista e quindi è giusto che riceva il giusto compenso per la sua bravura, o almeno quello che gli altri, i dirigenti, pensano sia il suo giusto compenso. Su questo in Italia e in Inghilterra sono molto in disaccordo, o meglio sarebbero del tutto in accordo se i dirigenti dei club italiani avessero le potenzialità economiche di quelli inglesi. Non è così. In Premier League onorano meglio il lavoro. Alla faccia dei sindacati.

Non gli si può dire niente neppure sul fatto che allora, quando professò amore per il Milan e che sognava di vestire quei colori per tutta la vita, fosse sincero. Ed è difficile anche immaginare quel senso di smarrimento, legittimo, nel dover scegliere se stare lì dove si vorrebbe stare o andare altrove. Uno smarrimento che c’è anche quando ciò che si lascia garantisce comunque un bel po’ di soldi, ma l’altrove ne offre molti di più. Anche perché per stare in una squadra si deve essere d’accordo (almeno) in due e a volte quando l’altro è anch’esso interessato agli argomenti economici dell’acquirente allora non si sa mai chi ha prevalso nella decisione di lasciarsi.

L’emotività è qualcosa da rifuggere negli affari, nella vita lavorativa. E il detto chi lascia la via vecchia per quella nuova sa cosa lascia ma non sa quello che trova è tanto vero quanto inutile al professionista. Servirebbe solo un manuale di comunicazione per atleti, quindi professionisti. La prima regola dovrebbe essere: mai esternare i sentimenti perché potrebbero essere usati contro di te dal tribunale del tifo. Che poi era la vecchia regola di Nereo Rocco: ciò ste muto e fati i cassi toi che no te sbagli. La disse a Gigi Simoni, suo calciatore al Torino, che era pronto a esternare la felicità per il ritorno in Serie A della prima squadra nella quale giocò, il Mantova. Era il 1966.

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